Sotto-zona/cru: Pianella – Castelnuovo Berardenga (SI)
Data assaggi: Settembre 2007
Il commento:
Il rubino qui non ammette forzature, è saldo ma si lascia ben ammirare anche nelle sue trasparenze, senza che per questo il vino nulla perda nella qualità del tratto aromatico. Perché il naso sulle prime è introspettivo, di un rigore quasi austero, con un suo lato affumicato e speziato ad intrigare, ma assai presto vien soccorso dalla genuina volontà di comunicare, e la timbrica via via si fa più colloquiale e diffusa: sono ciliegia, gelatina di fragole, violetta e un soffio mineral-piritico ad inspessire il quadro, mentre l’anima “sangiovesa” la respiri tutta. Ad un giorno dall’apertura, tanto per dire, quel naso si farà elegiaco e raffinato, teso e terso, dolcemente terroso, e la flemmatica ritrosia della prim’ora si sarà trasformata in un componimento lirico e aggraziato. E’ il buon viatico per una evoluzione che intuisci felice.
La bocca nel frattempo non te la manda a dire la sua appartenenza: irresistibile, melodiosa, slanciata, di una freschezza e di una progressione incalzanti, gioca le sue carte sulla sfumatura e sulla raffinatezza del tratto; la trama è ben tessuta e l’intrico tannico, di decisa marca sapida, fa tanto Berardenga. E’ vino questo di squillante spirito chiantigiano, ecco cos’è: accordato, tenero e ispirato, sposa rigore a naturalezza espressiva, evocando rispettoso la sua terra, intimità comprese.
Sugli scaffali d’Italia – finalmente – c’è un Chianti che sa di Chianti a 22 euro o giù di lì.
La chiosa:
Che bello, una volta tanto, non conoscere niente di niente -né volti né modi né gesti- e scoprirsi sorpresi con la fatale ingenuità di un ragazzino! Per una volta, tu e il tuo bicchiere di vino sconosciuto di fronte. Nient’altro. Non il fardello della consapevolezza, non la prosopopea professorale del degustatore fin troppo accorto e illuminato. Quasi un ritorno alle origini, con in più la fortuna di un incontro inatteso.
Il nome Villa di Geggiano d’altronde, aldilà del set chiantigiano utilizzato da Bernardo Bertolucci per un suo celeberrimo film, non mi aveva mai suscitato nessun legame con il vino, fino a quando – un annetto fa – due misconosciuti Chianti Classico (2000 e 2003) non mi offrirono un barlume e un segno. Mi imbatto oggi in questa fantastica Riserva, ed è l’ennesimo segno. Non posso tacerne il passaggio. Perché qui, senza proclami né ostentazioni, un territorio per troppo tempo mortificato da derive stilistiche stranianti ed identità farlocche, pare aver ritrovato d’incanto una ragion d’essere e una strada. E’ vero, nulla so di volti, modi e gesti, però ora conosco la destinazione del prossimo viaggio, ed il “mio” Chianti forse ha una voce in più per raccontarsi.
Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.