L’ultimo nato di Ca’ del Bosco è un Franciacorta di nuova impostazione che personalmente ho apprezzato perché la considero una sfida su cui bisognerà confrontarsi. Mi spiego meglio. La Cuvée Prestige nasce da uve chardonnay (75%), Pinot nero (15%) e Pinot bianco (10%) selezionate in 134 vigneti (l’azienda ha 150 ettari di vigneti suddivisi in 8 Comuni della Franciacorta: Erbusco, Adro, Cazzago, Iseo, Paderno, Passirano, Provaglio e Cortefranca, ndr) e raccolte tra la terza decade di agosto e la prima decade di settembre. I vini base vengono vinificati separatamente per conservare le loro caratteristiche di provenienza. Dopo una maturazione per otto mesi in vasche d’acciaio, sono assemblati a vini di riserva delle migliori annate in una percentuale minima del 20%. Tenendo conto che la nuova Cuvée è il Franciacorta base dell’azienda, è come per un saltatore aver alzato l’asticella di una buona manciata di centimetri. Insomma se i base “crescono” è un ottimo segno.
Quanto al gusto di primo acchito l’ho definito “moderno” intendendo con questa parola un Franciacorta molto fresco nei profumi e ben strutturato in bocca. Infatti la pienezza del gusto c’è e si sente ma d’altra parte 28 mesi di affinamento sui lieviti non trascorrono invano. La bottiglia è trasparente e lascia vedere il paglierino chiaro mentre la protezione dai raggi UV è assicurata da una pellicola di colore arancio che la avvolge. Al naso è molto fine e delicato ma le sensazioni floreali si avvertono nettamente mentre in bocca è secco con l’acidità e la struttura che contribuiscono alla sensazione di lunghezza del vino. Finale con note fruttate, di mela. Da sperimentare/assaggiare ancora, tra almeno un anno. La mia impressione è che abbia bisogno di tempo per esprimere una sempre maggiore complessità. Prezzo consigliato €. 24-25,00.
Un’ultima annotazione di costume. Non starò qui ad enfatizzare più di tanto le modalità scelte per presentare il nuovo Franciacorta della Ca’ del Bosco a Roma con le solite modelle filiformi, etc.etc. Mi limito solo ad osservare che l’esempio televisivo ormai imperante nella comunicazione e nella gestione degli eventi, non sempre rende giustizia alle novità o le valorizza al meglio. Forse una riflessione a bocce ferme non guasterebbe.