Non è la prima volta che parlo di Langhe e Roero. Soprattutto di vino e dei suoi maestri. Ho avuto, però, varie richieste di scrivere qualcosa di più vario e articolato su un territorio che possiede molti altri tesori poco conosciuti. La sua stessa storia geologica è estremamente interessante. Anche a costo di ripetere qualcosa, cercherò di affrontare questo compito.
Le Langhe e il Roero sono oggi separati “fisicamente” dal fiume Tanaro che scorre dai pressi di Bra verso Asti e Alessandria. Parecchi milioni di anni fa le cose erano, però, ben diverse e la situazione odierna prende la sua forma definitiva soltanto centomila anni fa. Per capire l’unicità del paesaggio e la qualità eccelsa dei vini che si producono in questa regione, bisogna perciò tornare molto indietro nel tempo. Circa 50 milioni di anni fa le Alpi si stavano formando per effetto della spinta del continente africano verso l’Europa. La grande catena montuosa dominava il mare che occupava tutta la pianura padana e gran parte dell’Italia. Solo poche isole uscivano dalla distesa d’acqua, chiamata Tetide. Bisogna aspettare altri 40 milioni di anni, prima che il corrugamento del fondo marino cominci a fare emergere le colline che oggi costituiscono le Langhe. I terreni che escono allo scoperto sono i sedimenti che si erano depositati sul fondo del mare in via di prosciugamento.
I primi strati che escono sono quelli del periodo Elveziano, formatisi intorno ai 15 milioni di anni fa. Questi costituiranno la parte più antica delle basse Langhe (ossia quelle che oggi sono costellate dalle vigne del più prestigioso vitigno del mondo: il nebbiolo) e daranno luogo alle creste di Serralunga, Monforte e Castiglione Falletto. Il terreno mette oggi in mostra arenarie e marne più o meno compatte che prendono il nome di “formazioni di Lequio” per quanto riguarda Serralunga, e “arenarie di Diano” per la zona di Monforte e Castiglione Falletto. Le due zone hanno caratteristiche leggermente diverse e forse proprio per questo sono in grado di dare vini differenti: più severi quelli di Serralunga e più eleganti quelli degli altri due comuni. Ma non si può fare una distinzione rigida: ogni collina, ogni versante, dona una sfumatura diversa, dovuta non solo al terreno, ma anche alle condizioni del micro-clima e al “genio” di chi la coltiva.
Qualche milione di anni dopo (intorno ai 7 milioni di anni fa) escono le colline più giovani, quelle della cresta che va da Novello a Verduno, passando per Barolo e La Morra. Esse si riferiscono al periodo detto Tortoniano e benché composte sempre da marne, dette “marne di Sant’Agata”, danno luogo a vini più fruttati.
Da questo momento in poi le Langhe si fermano a contemplare le Alpi, separate da esse dall’azzurro mare Tetide. Il vento, la pioggia, l’erosione, modellano le valli e le creste, ma una caratteristica fondamentale dona ancora oggi un’unicità al territorio: la roccia “madre”, induritasi nel tempo, rimane quasi allo scoperto e le radici dell’uva devono lottare costantemente contro la sua asprezza. La sabbia è quasi inesistente e la sofferenza scandisce l’esistenza del nebbiolo: come sempre, solo quando le cose si ottengono con grande fatica, danno i migliori risultati. E così il nebbiolo delle Langhe non teme confronto con quello di nessun’altra zona al mondo. Da nessuna parte la terra è in grado di fornire il campo di battaglia ideale per la sfida tra le dure marne e arenarie e la pianta che cerca di affondarvi le radici. Nessuno potrà mai portare il nebbiolo a questi livelli.
Situazione analoga accade nel territorio del Barbaresco, leggermente più giovane e formato anche da strati geologici successivi, tra cui quelli gessosi del periodo Messiniano. Ne consegue una struttura comunque importante, ma in cui l’eleganza la fa da padrona: una nuova sfaccettatura che il nebbiolo sa donare ai suoi estimatori. Mentre le Langhe “stanno a guardare”, l’evoluzione geologica continua…
Il mare si restringe sempre di più, i fondali si alzano e tra le Alpi e le Langhe cominciano a formarsi stagni e laghi. Poi, lentamente, intorno ai 2 milioni di anni fa, quello che era stato un mare diventa una pianura umida e sabbiosa. Le Langhe la guardano quasi con alterigia e cominciano ad alzarsi, quasi a voler dimostrare la loro primogenitura. La grande pianura limacciosa è percorsa da grandi fiumi, il più maestoso dei quali è il Tanaro, che scorre dall’attuale Bra verso Carmagnola e si butta nel Po nei pressi di Carignano. Altri torrenti minori si dirigono invece da Alba verso Asti e Alessandria. Strati di sabbia e ciottoli si accumulano e gli stagni si colmano. Un fiume sconosciuto segna la separazione fisica tra le più alte Langhe e l’altopiano di Poirino e Sommariva Bosco. Il fiume si scava il percorso tra la sabbia e delimita il confine.
Alle Langhe, però, non basta ancora: il loro sollevamento continua, costringendo il fiume sconosciuto a incidere sempre di più verso la sua sinistra. Poi, circa centomila anni fa, l’erosione, sotto la spinta delle Langhe, arriva a lambire il percorso del solenne Tanaro che scorre più in alto rispetto al fiume che continua a spostarsi verso di lui. Infine, un’enorme alluvione fa uscire il Tanaro dagli argini e la sua grande massa liquida si riversa con terribile fragore nel tracciato del corso d’acqua più basso. Lo spettacolo è fantastico e tutta la regione ne è sconvolta. Tra Pocapaglia e Cisterna d’Asti, su un fronte di circa 12 km, quasi perfettamente rettilineo, le Langhe assistono alla tracimazione del Tanaro che va a occupare la nuova posizione con una cascata impressionante.
Per capire l’effetto basterebbe pensare, su scala maggiore, a quanto ancora oggi capita nelle celeberrime cascate dell’Iguacu, al confine tra Brasile e Argentina. Il Tanaro cambia così percorso e da Bra si dirige verso Asti, Alessandria e ritrova il Po solo più a est. Nasce il Roero, segnato in modo inconfondibile da quella che fu la cascata e che oggi appare come le “Rocche”, spaccature giallastre con un microclima e una flora del tutto particolari. Non c’è più l’acqua che precipita con rumore assordante, ma solo i resti di quello sconvolgimento, profondamente erosi nei millenni successivi. Anche così il ricordo è però emozionante e molto di più andrebbe fatto per ricordarlo ai turisti e agli stessi abitanti del luogo. Il Roero è quindi zona di terreno sabbioso, in cui però la deviazione del Tanaro ha causato un grande mescolamento degli strati geologici, mettendo localmente a nudo quelli molto più antichi. Ogni collina del Roero ha quindi una storia diversa e dà luogo a vini diversi. Quelli più immediati e fruttati delle zone sabbiose e quelli più severi e austeri delle marne e delle arenarie. Pochi produttori di vino sanno però cosa c’è esattamente sotto le loro vigne. Forse una conoscenza geologica più accurata farebbe capire ancora meglio le potenzialità dei vari vigneti. Può darsi che le radici preferiscano accontentarsi degli strati sabbiosi superficiali ed evitino la lotta con le marne più profonde, come invece si svolge normalmente nelle rocce delle Langhe. Il Roero è quindi un mondo vinicolo ancora tutto da studiare e da scoprire.
Tuttavia, Langhe e Roero non sono solo vino e grande gastronomia. Altri tesori sono nascosti tra i loro vigneti e i loro boschi. Purtroppo la maggior parte rimane celata al turista, soprattutto straniero. Nelle Langhe vi sono celebri castelli, che spesso e volentieri sono stati trasformati e avviliti nei secoli. La rude potenza e l’armonia si riescono ancora a vedere quasi intatte solo nella rocca di Serralunga. Un esempio splendido di maniero da guerra, estremamente spartano e funzionale. Eppure è quasi sempre desolatamente senza visitatori, nonostante la sua mole svetti inconfondibile da ogni posizione.
Anche se i villaggi hanno perso in parte la caratteristica medioevale, tanto valorizzata in Toscana e in Umbria, qualche segnale rimane e andrebbe sicuramente sfruttato meglio. Si è fatto molto, ma ancora di più si potrebbe e si dovrebbe fare. Visitare le Langhe non è solo assaggiare il re dei vini e accostarsi a una delle più grandi cucine del mondo. E’ anche scoprire villaggi, prospettive, castelli. Allo stesso modo Alba, di fondazione romana, non è solo tartufo, offerto magnanimamente ad attori, vallette, veline, ecc., ma è anche vecchie torri rossastre, scorci medioevali e chiese vetuste. Ancora più sconosciuto è lo straordinario Roero. Le Rocche sono uno scenario fantastico, come già detto in precedenza, la frutta è eccezionale, i vini stanno emergendo… ma non basta. Chi conosce la vecchia strada romana che percorreva il crinale tra Priocca e Santa Vittoria d’Alba, salendo e scendendo, per evitare le paludi malsane del Tanaro?
Chi conosce il misterioso monumento romano detto “il Turriglio” nei pressi di Santa Vittoria d’Alba? E chi riesce a riconoscere nell’attuale Pollenzo, famosa ormai soprattutto per l’Università Gastronomica situata in un orribile palazzo neogotico, la forma ancora perfetta dell’anfiteatro romano? Eppure molti turisti sarebbero sicuramente entusiasti di ripercorrere l’antica strada, fermandosi ad ammirare le vigne e i frutteti, contemplando le Rocche, sapendo però anche di calpestare la storia antica, tornando indietro di secoli e secoli nel tempo. Pietre romane e tratti di tracciato sono emersi a più riprese, ma sono stati presto nascosti alla vista. E che dire del gioiello romanico di San Vittore a Priocca, con le sue due absidi e gli affreschi medioevali?
Ma vi è ancora un’altra unicità nelle meravigliose colline attraversate dal Tanaro. Nessun vino al mondo ha mai avuto l’altissimo onore di salire nello Spazio celeste. Nessuno, tranne i tre grandi nebbioli di queste colline. A tre piccoli pianeti, che ruotano e continueranno a ruotare per miliardi di anni attorno al Sole, a qualche centinaio di milioni di chilometri da noi, sono stati assegnati ufficialmente e per sempre i nomi di Barbaresco, Barolo e Roero. Un riconoscimento eccezionale che è comparso nelle prime pagine dei giornali americani e che può essere costantemente ricordato leggendo le pagine web della NASA. Ma da noi è stato considerato ben poco… Un vero peccato, perché potrebbe rappresentare una spinta turistica importante. Sicuramente molto di più di tante feste, manifestazioni e premiazioni locali e regionali. Nessun problema, però. I tre piccoli pianeti, o se preferite asteroidi, rimarranno in attesa di tempi migliori: loro non hanno fretta!
2 risposte
Bellissimo pezzo Enzo, ci dai molte ragioni in più per visitare queste fantastiche zone!
complimenti.
un articolo di alta qualità.
giorgio