Rosso Antico al BBeQ – Storiche annate di grandi rossi incontrano la cucina di Carlo Tanoni

Tempo di lettura: 10 minuti

C’eravamo lasciati qualche mese fa con due grandi approfondimenti nella dimensione dei vini rossi, dei grandi rossi da invecchiamento, ripartendo la nostra analisi in due distinte tipologie: monovitigni e assemblaggi. E’ stato un viaggio impegnativo e trasversale, che traguardava le “cento” etichette, in grado di regalarci degustazioni di gran pregio, verticali memorabili e confronti di altissimo livello. Ma ci mancava qualcosa per concludere quel viaggio, mancava il confronto con il tempo che ci avvalorasse quella declaratoria di “grandi rossi da invecchiamento”.

Per questa tappa finale, fatta di poche etichette, giusto otto, ma tutte rigorosamente con almeno dieci anni di cantina sul vetro, ho pensato che ci voleva un connubio tale da completare il senso profondo del vino: l’abbinamento con pietanze in grado di esaltarne le singole proprietà ed esaltarsi in una corrispondenza organolettica fatta di contrasti e bilanciamenti, contrapposizioni ed equilibri. Sono stati Carlo e Tiziana Tanoni a regalarmi l’occasione perfetta, in un pomeriggio uggioso di fronte al mare di Latina, nel loro accogliente ristorante che ben conosciamo per la qualità della cucina e la cordiale ospitalità: il BBeQ.

Lo chef Carlo Tanoni, con il suo staff, ha voluto così deliziare il palato del ristretto gruppo di degustatori intervenuti con una sequenza di portate in grado di sostenere la lista di vini sul tavolo e con essi accompagnarsi in armonia. Certo l’evoluzione di etichette così importanti, attraverso un invecchiamento che superava i dieci anni, finanche a doppiarli con l’ultimo gioiello in elenco, non garantiva certezze sulla riuscita degli abbinamenti, ma la cucina del BBeQ si è rivelata davvero all’altezza, con un inizio difficile, ma con binomi che hanno rasentato la perfezione e altri che hanno saputo regalare al vino accoppiato un vero e proprio salto di qualità.

La degustazione è stata accompagnata, oltre che dalla competenza e passione dei ristoratori, chef, sommelier e tecnici intervenuti, anche  da una cornice artistica all’altezza della situazione e della location. Al BBeQ l’arte abbraccia sempre i commensali con esposizioni di quadri di particolare connotazione e proposti da artisti esponenti di diverse tecniche. In questa occasione si innaugurava una personale di acquerelli dal titolo “Sabbie d’Oriente e d’Africa“, caratterizzati dal peculiare utilizzo di polveri di caffè per tratteggiare le sfumature e i frammenti della vita colta fra le dune del Medio Oriente e i deserti sub-sahariani. Non rivelo il nome  (scoprirete il perchè) dell’artista interprete di questa particolare visione dei volti e delle scene di vita dei villaggi di terre così lontane, magicamente evocate con la tecnica ad aquerello e i colori del caffè, ma invito chi può ad andare al BBeQ per mangiare piatti deliziosi, godersi l’aria sapida del mare e scoprire dipinti dal fascino esotico. Per tornare al risultato della nostra degustazione, alla fine i vini si sono dimostrati tutti in perfetto stato di conservazione e la batteria di etichette ha regalato sorprese inaspettate e conferme, emozioni e buon umore … non si poteva chiedere di più.

Patè di fegato di vitella

con  Tassinaia 2001 – Castello del Terriccio

Apriamo la sequenza con uno dei gioielli di Castello del Terriccio, una scelta quasi obbligata, il vino più giovane in batteria assieme al più blasonato Lupicaia; ma questa seconda etichetta dell’azienda di Gian Annibale Rossi di Medelana, quella più “tuscan” e meno “super” per la presenza di sangiovese in equo dosaggio con merlot e cabernet, regala subito una gustosissima sorpresa. Le uve del Tassinaia vinificano e maturano separatamente e l’assemblaggio avviene dopo oltre un anno di barriques. Granato con bei riflessi carminio, profumi evoluti e prevalentemente terziari, con lievi note di confettura e rosa appassita in un abbraccio etereo vagamente officinale. In bocca è giustamente maturo, prugne cotte e composta di ciliegie delineano la componente fruttata, mentre i tannini fanno da collante alle fragranze con una terrosità che irretisce il palato. Sorso ampio e freso, ritorno speziato e dolce con vena mentolata e lunghezza da giovincello; un vino ancora in ottimo stato e in grado di offrire percezioni sensoriali stimolanti. L’abbinamento con il patè di fegato di vitella si rivela non perfetto, per quanto la realizzazione della pietanza mostri una perfezione stilistica e un’ampiezza gustativa adatta ai palati più esigenti. E’ infatti il patè a dominare, relegando il vino ai margini del palato e delle percezioni gustative, ma non sciupando il piacere del crostino. Un ulteriore sorso avvina nuovamente il palato e le papille ritrovano la profondità del cabernet, la rotondità del merlot e la freschezza del sangiovese … ma finito il vino non abbiamo certo lasciato il patè nei piatti.

Polentina morbida su fonduta di marzolino con scaglie di tartufo

con Lupicaia 2001 – Castello del Terriccio

Avevo già incontrato questo vino in passato, trovando sempre un monolite di potenza e struttura, un supertuscan di taglio bordolese (85% Cabernet Sauvignon, 15% Merlot) che Carlo Ferrini cura (dal 1993) con sapiente maestria fin dalla raccolta delle uve, tra cui nel tempo si è aggiunto un 5% di Petit Verdot a scapito della quota di Merlot. Le uve vinificano separatamente e il vino matura per un anno e mezzo in barriques di Allier nuove (che poi cede al Tassinaia). Non nascondo una certa sorpresa nell’osservare un Lupicaia che, pur  mostrando intatti i lineamenti del grande vino, non suscita quel sussulto che ricordavo; vivido nel colore, che denota l’età nei toni ma non nell’intensità, sviluppa un approccio olfattivo composito e saldamente terziario, con note minerali che si aprono la strada tra fragranze di cuoio, grafite, goudron e china. Entra in bocca con passo felpato e trama fruttata, che richiama la confettura di prugne; il tessuto tannico è tutt’altro che spento, ma rispetto al sorprendente fratellino appare più levigato e domo. Freschezza apprezzabile, ma anche qui meno tonica che nel sangiovese del Tassinaia. Un gusto aperto dove l’alcol sviluppa calore e l’estrazione spessore; vino equilibrato, docile, dinamico e ancora integro.

L’accostamento alla polentina è delizioso, non gioca sui contrasti, bensì su una sapiente concordanza di morbidezza e cremosità; il vino si accompagna al boccone e il palato si arricchisce di gusto e salivazione succulenta. Un Lupicaia che per quanto integro e impeccabile, sembra aver raggiunto la sua piena maturità, un’ideale asintoto di stabilità che prima o poi cederà il passo ai primi cenni di declino … che spero un  giorno di poter verificare.

Tortino di patate e guanciale con salsa al curry

con Carato 1999 – Cantarutti Alfieri

Questa è la vera rivelazione della serata, un vino che conoscevo per quanto me lo aveva descritto la sua appassionata produttrice, Antonella Cantarutti, ma che ha superato persino le qualità decantate. Lavorazione curata applicata ad un Cabernet Franc in purezza, vinificato con l’utilizzo di tutte le tecnologie in grado di agevolare al meglio la perfetta espressione di una fisionomia territoriale. Raccolta manuale e pigiatura soffice con pressa a polmone, poi macerazione sulle bucce per 2/3 settimane con rimontaggi e delestage sistematici. Dopo la svinatura il mosto passa in barriques dove trascorre un anno e mezzo durante il quale svolge la malolattica, il contenuto di tutte le barriques viene infine assemblato e lasciato riposare per quasi un anno. Dopo dodici anni si offre con un colore ancora coeso, tendenzialmente granato con riflessi amaranto. I profumi evidenziano una incipiente nota vegetale, incisiva e lunga, poi toni terziari di tabacco, liquirizia e cuoio si intrecciano a note fruttate di rovo; chiude un sentore di rosa appassita. Al palato si apprezza l’apporto fruttato, sorprendentemente vivo e dolcemente polposo, tra ribes e mora; ma è l’apporto acido, integro e godibile, a sorprendere, con tannini fluidi e infiniti, di spessore e funzionali alla trama sensoriale, che si chiude al mio palato con una piacevole traccia iodata. Il tortino di Carlo Tanoni è perfetto, il sapore del guanciale bilancia la dolcezza delle patate e il curry si amalgama ottimamente al vino. Ma il messaggio è che l’idea di un piatto speziato sia la matrice ideale per il nerbo acido e il complesso aromatico di questo vero purosangue friulano.

 Costoletta d’agnello gratinato alle erbe su patata rossa di Sabaudia

con Pinot Nero 2000 – Pojer e Sandri

Unica eccezione alla sequenza in rigorosa regressione di annata, offre uno spunto di riflessione che inizialmente divide il panel di degustazione. Appare infatti un po’ spento inizialmente, ma il confronto con il superlativo Carato lo penalizza in un primo approccio, poi le considerazioni sullo stile che caratterizza da sempre questo vino riconducono i commenti verso un più equilibrato giudizio. Il colore appare piuttosto scarico, luminoso, ma decisamente tenue, aranciato con unghia vagamente purpurea. I profumi sono evoluti, sottili, con tracce floreali su note terziarie di concia e sentori officinali. In bocca prevale lo spunto alcolico in virtù di una struttura tannica oltremodo levigata, un vino piuttosto magro, assolutamente integro, ma delicato. Dopo i precedenti campioni ricchi di estrazione e struttura, un pinot elegante e morbido, che gioca sul velluto di fragranze leggere e raffinate che il tempo non ha minato. E’ nell’abbinamento con l’agnello che si esalta, ritrovando anche smalto e freschezza, una carne cotta alla perfezione, saporita e ottimamente accostata alla batata rossa, prodotto tipico dell’areale agro-pontino; una pietanza di pregevole dinamismo ed equilibrio gustativo, in grado di esaltare la linearità e la pulizia del vino.

Taglio di Brie

con Barolo 1999 – Prunotto

Un più lungo affinamento in legno, due anni in botti di rovere, con una piccola parte di prodotto elevato in barriques di secondo passaggio, ha indotto la scelta di aprire questo binomio 1999 con il Barolo di casa Antinori (dal 1994). Il Vino appare ancora una volta immacolato, granato intenso, con unghia aranciata e una limpidezza aromatica ancora ricca di complessità e fragranze. I profumi ricordano la viola appassita e la frutta rossa stramatura; al palato non offre sussulti emotivi, ma l’equilibrio e la nitidezza gustativa regalano un ampio ventaglio di fragranze. I tannini non lasciano quasi traccia di sé, il vino appare pronto, ma forse lo era già da tempo e l’accostamento al morbido formaggio dal timbro più dolce risulta indovinato e armonioso.

Taglio di Taleggio

con Barbaresco 1999 – Produttori del Barbaresco

Non tradisce le aspettative questo Barbaresco, frutto di una consolidata tradizione che propone il nebbiolo di Barbaresco trattato con sapienza e maestria dai 56 soci produttori. Il vino è prodotto infatti secondo un processo classico: macerazione e fermentazione sulle bucce, con continui rimontaggi, e invecchiamento di un anno e mezzo in grandi botti di rovere. Colore terso e cupo, profumi aperti e generosi, che non tradiscono l’età se non nella fase finale dove, dopo l’approccio floreale ed il passo fruttato, vira su note evolute di cuoio, tabacco e noce moscata. In bocca è pieno, ancora sostenuto da una grinta tipica del vitigno e delle langhe, con tannini affatto spenti e gusto profondo di prugne secche e radice di liquirizia. Il formaggio è ancora una volta indicato, forse avrei preferito confrontare questo vino con un bel taglio di carne, ma l’effetto del taleggio è oltremodo soddisfacente.

Taglio di Toma di Fobello

con Rosso Faye 1990 – Pojer e Sandri

Ed eccoci al gran finale, il “supertrentin” vero cadeau di Mario Pojer e Fiorentino Sandri per questo viaggio nelle terre dei rossi che, per chi sa aspettare, può diventare un viaggio nel tempo. Mi avevano avvertito in verità, dall’azienda trentina, che sarei rimasto di stucco con questo vino e in effetti sono, anzi, siamo rimasti tutti sbalorditi da questa vera grande sorpresa conclusiva. Da ricordare l’uvaggio, che è prevalentemente Cabernet Sauvignon (50%) con un taglio di Cabernet Franc, Merlot e Lagrein per il rimanente 50%, e la vinificazione che prevede solo legno: tini per la macerazione e fermentazione e barriques nuove per l’anno di maturazione; completa il ciclo un altro anno di affinamento in bottiglia. Si intuiva già in fase di stappatura che non avrebbe mostrato sbavature: ascoltando il rumore della vite senza fine nel sughero, che sembrava quello di un 2010, stridente e compatto, duro e resistente. Si capiva nel versare il vino nei grandi calici di cristallo, dopo ormai due ore di decantazione, che non avrebbe deluso: osservando un colore scuro e vivido, scendere nel bicchiere e aggrapparsi alle sue pareti scivolando con lenta lacrimazione. Al naso si è presentato con note di erba secca, humus, grafite e qualche traccia smaltata, ma c’era ancora tutta l’essenza del frutto. In bocca una vera sorpresa … oppure no? Fresco, con una tracce di mirtillo, un residuo tannico affatto spento ed una aromaticità estesa che ricorda il fieno e un fumé vegetale, la liquirizia, la cannella ed un leggero respiro officinale. Una prova d’autore, dal tratto identificativo, con una personalità intatta, sfoggiando una linguaccia alla carta d’identità e regalando un’emozione vera … grazie a Mario e Fiorentino.

Pasticceria secca

con Vinsanto 2001 – Felsina

La Fattoria Felsina e il suo grandioso Vinsanto 2001 li avevo incrociati lo scorso anno in una degustazione di vini passiti (50) da brividi, ma questo vino così ben fatto, invecchiato di un’altro anno, sembra anche migliorato. Le uve Malvasia e Trebbiano (80%), con Sangiovese (20%) sono appassite  sui graticci per 4/5 mesi e vinificate secondo tradizione, con una sosta di sette anni in caratelli usati conservati nella vinsantaia. Ambrato e limpido, regala profumi nobili di frutta tropicale in confettura, creme caramel e cannella. Al palato è consistente e vellutato, dolce ma vagamente sapido, denso e cremoso con fragranze di fichi secchi, uva sultanina e miele di acacia. La pasticceria fa il suo mestiere, il cantuccio (o tozzetto) è tradizionalmente il binomio più diffuso, ma tutto il panel, saggiamente, aveva conservato un assaggio di toma che, col suo sapore forte e pungente, aveva lasciato intuire un matrimonio felice con il contrasto “mieloso” di un passito … intuizione azzeccata. 

 

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8 risposte

  1. Ho degustato il Pinot nero di Pojer e Sandri di diverse annate ed ho sempre avuto la stessa impressione: un vino “magro”, di stile un po’ “borgognone”, ma estremamente elegante e di grande bevibilità. Posso solo dire che mi lascia perplesso la scelta dell’organizzatore della serata di costringere un vino di questo tipo tra “vinoni” di ben altra struttura come Lupicaia e compagnia? Il minimo che si potesse aspettare è che i degustatori restassero quantomeno spiazzati!

  2. Conoscevo anch’io il Pinot nero di Pojer e Sandri, ma mai lo avevo provato così invecchiato … uno stile inconfondibile che appare inattaccabile dal tempo. Io sono invece d’accordo sull’inserimento in lista, se il viaggio sensoriale deve essere quello nel tempo … allora ci sta anche di provare questa esperienza. Direi piuttosto che io avrei aperto le danze proprio con questo vino … tanto con Lupicaia e Tassinaia la differenza era solo di un anno. Comunque gran bella batteria … la prossima volta invitate anche me 🙂

  3. Concordo. Il Pinot Nero di Pojer e Sandri va degustato con la consapevolezza dello stile peculiare … se si affronta così non delude mai … certo inserito all’inizio della batteria forse avrebbe fatto un effetto diverso.
    Ottimo lavoroe … BBeQ aspettami!

  4. Ragazzi per me che produco vino, aver trovato il mio CARATO 99 in questa batteria è stata davvero una bella sorpresa. Anche il Friuli è ricco di vini rossi, ma dobbiamo rispettarne le caratteristiche e lasciare che il tempo ci aiuti. Un saluto a tutti e divulgate queste informazioni sempre.

  5. @ Angelo, Roberta e Romolo
    Concordo pienamente con quanto avete commentato. Il pinot nero di Pojer e Sandri è una poesia che andrebbe declamata in opportuni contesti, soffice e leggero, raffinato e fragrante. Onestamente devo riconoscermi l’errore di non aver deciso di aprire le danze proprio con il pinot.
    Ma ci tengo a sottolineare che nessuno nel panel si è scomposto più di tanto, anzi, abbiamo commentato in diretta e per primi il confronto con i vinoni precedenti, ma ognuno di noi ha saputo cogliere lo stile e la piacevolezza del pinot che, anzi, non è venuta meno neanche in tale contesto.
    Sul fatto di inserirlo comunque nella lista devo dire che mi sarebbe mancato davvero se non ci fosse stato in un pomeriggio così.
    @ Antonella per te solo due parole: continia così

  6. Gran bella degustazione su cui faccio due personalissime annotazioni:
    1) Ho provato tempo fa il Pinot Nero di Pojer e Sandri, credo 2005, ma penso fosse la riserva Rodel Pianezzi … quello provato da voi forse non era la riserva, perchè a me è sembrato piuttosto corposo e strutturato … ovviamente sempre secondo lo stile elegante della casa.
    2) Dove trovo il Carato ??? 😀

    Ciao Ciao

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