Flashback
Era il mio primo lavoro post laurea. Non passò poi tanto che cominciai a soffrirne. A soffrirne fisicamente e psicologicamente. Fra le poche distrazioni al dolore la comprensione e l’amore di una donna, lo zoccolo duro della complicità esistenziale, la passione per il vino. Non ultime, le domeniche sera -molte in quell’anno là- trascorse nell’ovatta di un ristorantino bomboniera di Pietrasanta che ora non c’è più: Non solo Vino si chiamava. Cucina ispirata di impronta mediterranea, scelta meditata e personale dei vini. Ciò che il simpatico Dado, amante della buona musica e non banale selezionatore di cose liquide, era solito propormi fra i ghirigori ipnotici del sax di John Coltrane. Ebbene, siccome lavoravo (cazzo!), mi potevo permettere IL Martinenga. Sì, proprio lui: il Barbaresco Martinenga dei Marchesi di Gresy, compagno fedele di quelle domeniche sera, inconsapevole medicina contro le mie paure, valente traghettatore di cattivi pensieri e scaccia-malinconie. A lui e a Cristina affidavo le speranze per allontanare l’incubo incipiente della notte che stava per arrivare, quella che mi avrebbe portato irrimediabilmente al lunedì e al lavorio straniante di un’altra settimana. Quando lasciai il lavoro, ben oltre l’incertezza del futuro, c’era la grande soddisfazione di tornare a respirare. Con la possibilità di ritrovare il tempo, il mio tempo. E di poter coltivare fino in fondo le mie passioni. Poche settimane dopo mi recai alla Martinenga, a trovare i Marchesi di Gresy. Per rendere un silenzioso grazie a chi mi aveva offerto compagnia e conforto nei momenti bui. La prima volta ci arrivai per la strada canonica, passando da Barbaresco e insinuandomi fra i Pajé e gli Asili, provando la sensazione di una pulce in mezzo a vigneti oceanici. Poi scoprii un’altra strada: tu fingi di recarti a Neive poi, all’altezza di Tre Stelle, ti “cali a picco” sulla Martinenga, tagliando a sinistra lungo strade piccole e panoramiche, accarezzando i fianchi del Monte Aribaldo. La vista che ti si para dinnanzi basta e avanza alla meraviglia. E’ e resta la Mulholland Drive di Langa. E’ e resta la mia Hollywood.
Zoom
Retrospettiva “maggenca”, quella organizzata da Cisa Asinari in onore del vino loro più rappresentativo. Tre decenni di Martinenga raccontati in 11 vendemmie. Storiche e non. Da cui poter trarre alcune schematiche conclusioni: che questi vini sono incisioni di bellezza nel cuore degli appassionati. Sono il lirico ricordo di una terra fatta di marne blu. La raffinata silhouette tipica della prima gioventù, illuminata dai fraseggi sottili di frutti, spezie e agrumi, rende al Barbaresco della casa un profilo riconoscibile, tutto in levare, apparentemente fondato su equilibri fragili, in realtà -e la verticale di oggi ne è una dimostrazione- capace di un arco evolutivo importante, fatto di terziarizzazioni profonde e struggenti, ancora ricamate negli accenti ma ovviamente più terragne e concrete, dove a commento perenne resta quella invidiabile freschezza di fondo che è poi la cifra del grande cru di appartenenza. E’ stato un bel vedere. La simpatia gigionesca di Alberto di Grésy (quanto mi piace il suo understatement, tutto men che bocconiano!), l’uomo che ha propiziato il riconoscimento internazionale per la storica proprietà di famiglia, e l’entusiasmo incantato del fido responsabile di cantina Jeffrey Chilcott (una persona che riesce a trasmettere un reale senso di serenità) hanno guidato le danze e accompagnato gli ospiti. Sono bastati pochi bicchieri che si è aggiunto al coro un altro suggeritore di emozioni: il sangue di John Coltrane che stava colando nello strabiliante assolo di Blue Train. La musica è partita per non arrestarsi più. Nessuno ci ha fatto caso, ovviamente, ma andava bene così.
Barbaresco Martinenga 2009
Un soffio di purezza che profuma di agrumi, spezie, violetta e piccoli frutti rossi in confettura. Incantesimo di sottigliezze. Quintessenza di uno stile e di un terroir, elegante e trascinante. In sua compagnia sto bene.
Barbaresco Martinenga 2008
Caleidoscopio di umori sottili, rarefazioni e punteggiature. Slanciato, fresco e dinamico, dalla sua una beva traditrice. E un lunghissimo finale ricamato in macramé.
Barbaresco Martinenga 2006
Affresco seducente di dolcezza e florealità, su sottolineature di erbe aromatiche. Levigato, rifinito, di naturale scorrevolezza e istintiva godibilità, ha la stoffa per sorprendere.
Barbaresco Martinenga 2004
Gelée di fragoline e umori di rosa thea. E un filo dorato di mineralità a cui appendere una bocca felpata, carnosa, calda ed avvolgente.
Barbaresco Martinenga 2003
Belli i risvolti di tabacco, ancora floreale l’indole aromatica; setoso, profondo, affascinante, anche se di trama larga e “pacioccona”.
Barbaresco Martinenga 1997
Profilo terroso, speziato, boscoso e caldo, su ritorni di tabacco. Trama larga, leggermente caramellata, fiele vegetale, ancora cose da dire ma non fulgido come in altre annate.
Barbaresco Martinenga 1995
Bosco, tabacco e cuoio: grintoso, terragno, l’impianto gustativo è più fresco del ‘97, ma non manca di rivoli vegetali.
Barbaresco Martinenga 1992
L’alcol dice la sua, gli umori di torba non depongono a favor di fragranza. Si dà da fare ma appare figlio legittimo di un’annata tutto men che memorabile in Langa. Il tempo soffia contro e il tatto va facendosi più rugoso e meno accondiscendente.
Barbaresco Martinenga 1985
Timbrica austera, profonda, struggente, su umori di sottobosco, foglie essiccate, tartufo, cuoio e tabacco. Terziarizzazione perfetta, di quelle buone. Incisivo e implacabile negli allunghi. Gran bel vino.
Barbaresco Martinenga 1982
Raffinato intreccio aromatico di sottobosco, tabacco e agrumi. Un soffio di bellezza al palato, dinamico, infiltrante, levigato. C’è razza.
Barbaresco Martinenga 1980
Umori medicinali ledono la compiutezza del quadro olfattivo, il coté prugnoso tenta di appesantirne le trame. Eppure al gusto te lo ritrovi fieramente vivo, grasso, carnoso e saporito. Un vino a due facce questo qua, che lotta orgogliosamente contro il tempo riuscendone vincitore a metà.
Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.
5 risposte
Complimenti per la magia con cui ha raccontato un luogo e un vino che amo. Chiunque leggendo il suo ‘racconto’ non potrà far altro che partire e provare luoghi e sapori. Bravo.
Grazie Massimiliano per la lettura.
fernando pardini
Grazie per questo struggente racconto e grazie per non essere banale, mai.
Ciao Eliana! Che piacere sentirti dopo tanto tempo!
fernando
Sei un grande , Fernando.