E se l’indimenticabile Garrincha, dentro a un campo da calcio, letteralmente “danzava sulla sofferenza” (così recita uno dei pezzi più toccanti ed evocativi del libro), Fabio Rizzari qui danza sulle parole, plasmandole e “incurvandole” intorno a riflessioni ironiche, iperboli, carambole, pensieri e suggerimenti fino a renderle contundenti o soavi, allegre o scanzonate, istruttive o amabilmente ammonitrici. E le parole, nella loro danza, riescono a tratteggiare in modo originale le cento sfaccettature diverse dell’universo-mondo vino, con i suoi attori, i suoi re e i suoi pagliacci.
Il libro in realtà è una raccolta di pezzi, o per dirla meglio: di post, pubblicati negli ultimi anni su due siti, il blog “espressico” Vino: ( che starebbe per “vino due punti”, anche se nessuno lo nota), di cui Fabio è l’autentico mattatore, e Il Bottigliere, agile e arguta rubrichetta condotta dallo stesso sul sito Piattoforte.it. Il lavorio di raccolta è stato confezionato nel tentativo di racchiuderne i numerosi spunti dentro gabbie tematiche: ecco così che si passa da “Vino e vinità” al divertente “L’enomaniaco: formazioni e deformazioni”; dal fondante “Luoghi comuni” all’istruttivo “Degustazione: gergo comico e problemi pratici”, dal “diversamente” didattico “Suggerimenti pratici e trucchi del mestiere” fino ai “Tentativi di tradurre in prosa la poesia del vino”.
La lettura scorre via come un soffio, leggera e ritmata, e la brevità dei post alimenta senza sosta la curiosità. Assecondando, casomai ce ne fosse bisogno, anche l’indole impaziente dei lettori più plagiati dalle maniacali tempistiche di una lettura 2.0: e questo semplicemente grazie alla possibilità di balzare da un pezzo all’altro senza temere di perdere il filo, con la soddisfazione fanciullesca di procedere random. Ci sono in realtà mille fili che tengono insieme il “prontuario”, a ben vedere. Ne tiri uno e ti si apre un piccolo mondo. Ne tiri un altro e ti se ne apre un altro. I fili come le sfaccettature di un vino “parlante”, dialettico. Ed è pur vero che sono molti i luoghi comuni sul vino demoliti e destrutturati, irrisi ed enucleati, lì dove regna sovrana una serissima ironia (e autoironia), in grado di strappare istintivamente un sorriso fra il beffardo e l’irriverente, ma mai accusatorio, mai supponente.
Su tutto, l’onnivora “multidimensionalità” della cultura rizzariana. Che nel vino, e nel suo mondo, poggia le fondamenta ma che spesso è in grado di trascenderle, inglobandovi dell’altro. Con un’idea, una citazione (ve ne sono parecchie) o un aneddoto folgorante in qualità di stimolo o spunto narrativo. Accomunati da una prosa brillante densa di arguzie e di fantasia, questi pezzulli -che aldilà dell’originalità nell’approccio danno un sacco di suggerimenti utili- lasciano pure trapelare le passioni di una vita, oltre a quella per il vino: la musica e la musicologia, il cinema, la letteratura, la comicità stralunata e surreale di ineludibili maestri quali Groucho Marx e Totò. E sopra tutto, la “cometa di Allen”, ossia Woody Allen, che illumina e ispira l’humour sagace del Rizzari (ovviamente ci riferiamo al primo e primissimo Allen, non certo all’imbolsito creatore dei melensi “mappazzoni” di oggi).
Ma da conoscitore non tanto dello scrittore quanto della persona (ci frequentiamo stabilmente e con reciproco piacere da una dozzina d’anni per ragioni “guidaiole”, essendo lui medesimo co-curatore della Guida Vini de L’Espresso), la particolarità che più risalta è quella della totale sovrapposizione fra l’uomo e l’autore. Perché sono assolutamente la stessa cosa: un uomo autorale! Non ci sono infatti piani diversi di “rappresentazione” fra colui che è e colui che racconta e, in fondo, si racconta. Perché Fabio scrive come parla. Lui è così! Una dote rarissima questa, quale efficace fusione di intelligenza creativa e modo di essere che raramente ho visto racchiuse senza forzature in una persona sola.
Ed è sotto l’egida di questo matrimonio che si consuma una delle letture sul vino più divertenti degli ultimi tempi, scritta con un linguaggio che si fa beffa dei registri canonici e fin troppo seriosi di cui quel mondo speciale si ingolfa, risolta in un crepitio intonato di piccoli racconti che in fondo altro non fanno se non accarezzare ciò che appare come l’intento primario: in materia di critica enologica, far lampeggiare una laica predisposizione al buon senso e all’equilibrio, con punte assolute di rara sensibilità interpretativa. Nel racconto del vino, esaltarne i valori suoi più profondi, che stanno nella gioia, nella condivisione, nella ricerca anche ingenua di una parvenza di felicità terrena, una felicità che sia degli occhi e delle parole, del cuore come della pancia.
Sì, per una penna così brillante vien piuttosto facile immaginarne un futuro fertile.
“Le Parole del vino”, di Fabio Rizzari
Giunti Editore (marzo 2015)
pagg.126 – 10 euro, ebook 6,99 euro
Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.