Perché no, anche la Romagna centrale vuole il suo festival di vini naturali. E lo ha visto nascere a Cesena, al Mercato Coperto, forse per ribadire -finalmente- una propria autonomia territoriale. Eh sì, proprio Cesena: fondata dagli Umbri, passata all’Esarcato bizantino di Ravenna, poi al papato e poi contesa a papa Clemente VII da quei “ bischeri “ dei fiorentini, possiede la storia di una cittadella a “prestito”. Chissà se la creatività e l’ingegno degli organizzatori non sia un riflesso spazio temporale di quel rifiorire che fu Cesena durante la signoria dei Malatesta, condottieri colti, amanti delle arti e del buon cibo. Oppure un riflesso dell’energia karmica lasciata in dote da Leonardo, al quale Cesare Borgia conferì l’incarico di rilevare ed aggiornare le fortificazioni delle città romagnole conquistate. Forse entrambe le cose, o forse nessuna delle due. Di certo la spinta motivazionale di Fabio e Davide Venturi, gli organizzatori del festival, è innanzitutto etica e passionale. Incontro Fabio dopo il successo della kermesse, nel suo bar di riferimento in centro storico, lì dove tutto è cominciato.
Allora Fabio, una piccola scheda introduttiva che vi riguardi…
“Nasciamo 7 anni fa con un e-commerce. Inizialmente il paniere riguardava solo prodotti romagnoli, poi però abbiamo deciso di offrire un respiro più nazionale e sviluppare un servizio di distribuzione di vini italiani provenienti da agricoltura biologica o biodinamica.”
Qual’ è il messaggio che vorreste far passare attraverso la vostra ricerca?
“Mah, che di sicuro va fatta una distinzione riguardo a ciò che mangiamo e beviamo. La nostra nutrizione deve passare attraverso la salubrità e la sostenibilità, e questo concetto ancor oggi non è scontato. Noi ci siamo innamorati della filosofia che anima questi vignaioli. La loro è una “vita diversa”, ci sono tante storie affascinanti dietro ad ogni cantina, ed è un po’ come tornare indietro nel tempo e riscoprire il mondo contadino di una volta. Ormai ci sono cantine che sono diventate dei musei, con figure aziendali come il brand manager o l’ufficio marketing ecc. Non dico che non ci debbano essere, il mercato è ampio, ma il mettersi alla prova, sfidare questo momento storico togliendo anziché aggiungere, lo trovo temerario e inovativo. Entrambi ci occupiamo di altro, mio fratello lavora nel settore amministrativo e io mi occupo di grafica, video e organizzazione di eventi per alcune aziende. Grazie a un amico che ci ha chiesto di dar vita ad un evento sui vini naturali siamo partiti in questa avventura. Abbiamo contattato le aziende con cui stiamo lavorando rendendo loro gratuito lo spazio espositivo. L’idea ovviamente è quella di continuare e proporre l’evento anche nei prossimi anni.”
Brutale, perché questo nome?
“E’ un nome che ci è sempre piaciuto per tanti aspetti. Brutale secondo noi si sposa molto bene con il concetto di vino naturale. Vino naturale è tornare un attimo indietro per spogliarlo da tutte le pratiche “extra” che si fanno sia in cantina che in vigna. Associo questo aggettivo a un movimento architettonico, “il brutalismo”, fatto di edifici molto spogli nei quali si evidenzia, con forza, solo la struttura. Esiste poi una “bodega” a Barcellona, molto famosa, che si chiama “Brutal”: nell’ambiente dei naturali di tutta Europa è un locale di culto. Infine c’è una tipologia di vini chiamata ” brutal wines ”, si producono sia in Francia che in Spagna ma ora anche in Italia. Il messaggio non è ovviamente dispregiativo, l’intento è quello di valorizzare il fatto che si vuole tornare all’essenzialità delle origini.
Brutale, selvaggio, vini antichi, vini ancestrali e chi più ne ha più ne metta. Troppi gli aggettivi, a mio avviso, che devono per forza identificare questi “nuovi vini”. Perché c’è tanto bisogno di differenziarsi e di definire un vino che è naturale?
“C’è tanta confusione nel merito. In questo momento c’è bisogno di differenziarsi per far capire al consumatore cosa c’è dietro ad un vino fatto senza l’uso di prodotti di sintesi in vigna e in cantina. Il lavoro nel campo è differente, ci vuole molto più tempo da dedicare alla vigna per portare l’uva nel miglior stato possibile in cantina. Naturale non vuol dire che il vino si fa da solo ma c’è tanto lavoro dell’uomo. Forse basterebbe regolamentare la certificazione naturale di un vino con un disciplinare serio e mi piacerebbe (come avviene in tutti i prodotti alimentari) che ogni etichetta riportasse cosa c’è dentro ogni bottiglia. In questo modo non ci sarebbe neanche più bisogno di differenziarsi.
La discussione sui vini naturali/biodinamici impazza e non accenna a placarsi, anzi. In profondità, nel settore vinicolo e sociale, cosa sta succedendo?
“A mio avviso c’è la necessità di un ritorno alle origini. Spero che si stia riscoprendo e rivalutando tutta la nostra cultura enogastronomica. Il consumatore oggi è molto più ricettivo sul tema della salute, sempre più attento al prodotto originale, etico e autentico.
C’è tantissima informazione nell’ambito dei vini biodinamici ma poca chiarezza. Non è che si rischia di creare confusione nel consumatore finale?
“Esatto. Ed è quello che secondo me stanno cercando di fare a tutti i costi, quello di creare confusione perché ci sono degli interessi in gioco. Non voglio parlare di complotto, ma un mercato in crescita a doppia cifra ogni anno sta cominciando a dare fastidio. I vignaioli naturali stessi vengono multati se aggiungono delle informazioni in etichetta sulla salubrità del prodotto. Sembra che si voglia, per legge, garantire questa mancanza di chiarezza. Le grandi aziende che non sono ancora organizzate per questo tipo di agricoltura tendono ad affossare questo movimento, poi quando saranno pronte ne cavalcheranno il mercato.”
Alla luce di queste tue ultime parole, come vedi il futuro dei vini naturali?
“Io lo vedo molto roseo, perché negli anni ho notato che i vini sono sempre più buoni. I produttori stanno facendo gruppo e facendo gruppo imparano dagli errori altrui. In questo modo si trovano ad avere più informazioni in un tempo minore. Stanno nascendo tante associazioni di settore, tutto questo per darsi una mano vicendevolmente. Le punte qualitative si stanno sempre di più alzando, e ci sono vini che non hanno paura di invecchiare.”
Le numerose fiere sui vini naturali si stanno un po’ uniformando. Cosa manca per far diventare Brutale, negli anni, un festival più originale?
“Non tanti vignaioli, altrimenti è troppo dispersivo. Sarebbe bello poi rivedere chi ha partecipato a questa edizione in futuro, perché vuol dire che si è trovato bene. Vorrei ritornare ad un’idea di festa paesana, alla festa del vino come facevano i nostri nonni e i nostri bisnonni. Ovviamente vi sono già feste simili. Togliere all’evento il taglio della fiera e dare invece l’idea della festa: banchi d’assaggio, conferenze, musica, proiezioni di documentari sui vini naturali….. un evento aperto a tutti e a basso costo. Aggiungerei poi dei percorsi gastronomici alla scoperta di produttori che portino avanti anch’essi una idea fattuale di naturalità e sostenibilità. Insomma, dare un taglio un po’ più pubblico e un po’ più culturale. Molte conferenze, molte mostre sul vino…”.
Fabio potrebbe ricordare in qualche misura un “nerd” di Yale ma l’animo romagnolo, fatto di coloriti sinonimi e gesti generosi, non glielo consente. E’ schietto, determinato, tutto traspare, tutto è quello che è. Non so cosa gli riserverà il futuro, ma il senso della sua ricerca appare chiaro. Ne sono certo, ci rivedremo il prossimo anno!
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Suggestioni di un giorno, in ordine sparso
Lusenti vini – Emiliana 2017, una Malvasia di Candia volutamente torbida che sposa bevibilità e freschezza, tanta freschezza. Astenersi perditempo.
Valli unite – Valli Unite è una storia importante, prima di tutto. Dagli anni settanta è una sfida lanciata nel nome della sostenibilità e della cooperazione. In regime biologico dal 1981 .
Selvatico 2017: Barbera in purezza da una vigna di settant’anni. In scioltezza, la beva supporta la complessità conferitagli dalle marne argillose.
Marmote 2016: croatina 100%. Un vino di primo acchito leggermente rustico che meglio si esprime con l’ossigenazione. Ad avvantaggiarsene la brillantezza e la golosità.
Podere Luisa – Castelperso 2013 (sangiovese in purezza) e un Chianti delle colline aretine 2016 dal forte appeal territoriale. La trama tannica è fine, inserita in uno spettro di frutti maturi e polposi per un finale lungo. Interessante l’utilizzo della vecchia ricetta toscana (l’utilizzo del Trebbiano ) per raccontare il Chianti e raccontarsi.
Tommasetti – Cercanome 2016. Verdicchio 100%. It reminds me some of the wines of the Loire. Vecchi vigneti e terreni calcarei. I ragazzi avranno di che divertirsi, nel prossimo futuro.
Carussin – Carica l’Asino 2017. L’ immersione simbiotica con il territorio (azienda fondata nell’anno domini 1927 ) permette di arricchire di esperienze il gesto agricolo. Il carica l’asino è il vino che più mi ha intrigato. Da premiare non foss’altro che per il recupero di questo vitigno (carica l’asino, appunto). La sapidità lo rende piacevole, immediato ma mai convenzionale.
Dario Orlandini – Orlando 2017, trebbiano in purezza. Giovane promettente questo “ragazzo” del ‘69, è alla sua prima vendemmia ma il territorio ne ha tante di più alle spalle e se l’è preso in simpatia insegnandogli l’importanza dell’ascolto. Un vino che si comporta come un rosso da invecchiamento, l’ossigeno lo spoglia dalle leggere incertezze legate alla inesperienza facendolo migliorare nel tempo. Da stappare al mattino per l’ora di cena.
Porca l’oca, stanno diventando veramente bravi questi “nuovi produttori”!
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Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.