Qualche tempo fa ho partecipato al primo forum sul vitigno foglia tonda organizzato da Donatella Cinelli Colombini a Trequanda, nella sua Fattoria del Colle. Donatella ha investito molto, e non da oggi, nei vitigni tradizionali toscani come pugnitello e foglia tonda. Mi piace usare la parola tradizionale piuttosto che autoctono, termine con il quale vengono solitamente definiti i vitigni di radicata presenza in Italia rispetto a quelli diffusisi maggiormente negli anni Novanta, con la nostra enologia in piena febbre esteròfila.
In realtà il concetto di autoctono relativizza e semplifica la storia millenaria della viticoltura, che ha viaggiato in lungo e in largo per il globo depositandosi e fondando civiltà enologiche solo laddove la sapienza e l’osservazione umana hanno saputo creare le condizioni per la stanzialità e perfezionare, con incredibile capacità e dedizione, un’elaborazione tesa a rendere la relazione tra pianta e terra più “saporita” possibile.
Così oggi possiamo apprezzare luoghi e vini che ci paiono l’essenza della tradizione e dell’appartenenza ma che in un tempo non definito forse rappresentavano un’innovazione o semplicemente una sperimentazione. Certo non è questo il caso di alcune forzature agronomiche occorse negli anni del boom delle consulenze, quando per una sorta di tracotanza tecnologica si pensava di poter relegare la viticoltura nel campo del riduzionismo scientifico e poter fare a meno dell’empirismo agricolo sedimentatosi da millenni.
Oggi l’interesse verso i vitigni tradizionali è davvero forte e rappresenta una sorta di nuova tendenza della nostra viticoltura. Da una parte tale fenomeno può essere ascritto al gradimento volubile del mercato, modalità non troppo distante da quella osservata con le varietà internazionali nel recente passato, dall’altro però vi sono almeno due aspetti da evidenziare, che suggeriscono la lunga prospettiva di queste varietà:
· tali varietà erano già in vigna e sono quelle piante cancellate dal riduzionismo enologico applicato alla viticoltura. Le piante sono sopravvissute in zone marginali dei territori enologici offrendo ai vignaioli un grande repertorio di diversità;
· tali varietà hanno dimostrato un miglior adattamento alle mutate condizioni climatiche rispetto a quelle internazionali.
Questi aspetti, uniti ad una maggiore cultura della diversità in campo enologico, hanno propiziato la diffusione di questi vitigni che oggi si stanno allargando a macchia d’olio anche nelle zone più importanti del territorio italiano.
Il Foglia Tonda è uno di questi vitigni tradizionali. Per anni sporadicamente impiegato in uvaggio con il sangiovese, le sue origini sono antiche ma la sua coltivazione -secondo i canoni industriali della viticoltura anni Sessanta/Settanta- portò al progressivo diradamento della sua presenza nel vigneto toscano. La sua culla pare essere localizzata in Chianti Classico. Cito testualmente dalla Guida ai vitigni d’Italia di Slow Food Editore, volume curato da Fabio Giavedoni e Maurizio Gily, edizione 2011: “Di Rovasenda (1877) lo segnala dicendo di averlo trovato nei vigneti del barone Ricasoli presso il Castello di Brolio a Gaiole in Chianti”. Ancora “Matura leggermente più tardi rispetto al sangiovese, ovvero nella seconda metà di settembre”, dato questo che vedremo sarà ripreso tra poco.
La giornata organizzata a Trequanda è stata condotta da Gianni Fabrizio, curatore della Guida dei Vini del Gambero Rosso, che ha pensato a una ricognizione su questo vitigno, per la verità ancora poco diffuso nell’immaginario critico e del grande pubblico, mirata alle diverse declinazioni presenti oggi in Toscana. Spazio quindi ad alcune interpretazioni del foglia tonda sia in purezza sia in uvaggio, alle diverse origini geografiche e, infine, alle plurime possibilità di affinamento. Ecco la lista delle aziende coinvolte nella degustazione:
· Fogliatonda 2017, Sequerciani – Gavorrano (GR)
· Valente 2016, Il Castellaccio – Castagneto Carducci ( LI)
· Orcia Cenerentola 2016, Donatella Cinelli Colombini – Fattoria del Colle – Trequanda (SI)
· Foglia Tonda 2016, Podere Ema – Bagno a Ripoli (FI)
· Mor di Roccia 2015, Podere Anima Mundi – Usigliano di Lari (Pi)
· Foglia Tonda 2015, Mannucci Droandi – Montevarchi (AR)
· Orcia Arcere 2015, Roberto Mascelloni – Poggio al Vento – Castiglione d’Orcia (SI)
· Poggio al Tempio 2015, Santa Vittoria – Foiano della Chiana (AR)
· S’Indora 2014, Mocine – Asciano (SI)
Dai bicchieri sono emersi aspetti confortanti circa la qualità del vitigno, sia in purezza che in uvaggio. Mi sono fatto un paio di idee assolutamente embrionali ma che credo valga la pena condividere: la prima è che, se utilizzato in purezza, il Foglia tonda mal sopporti un affinamento vòlto all’estrazione, le sue caratteristiche di freschezza acido-tannica ne verrebbero totalmente compromesse. La seconda impressione è che possa davvero rappresentare una splendida opportunità per la viticoltura “di costa” al fine di garantire, all’espressione gustativa dei vini, quel necessario apporto di acidità in grado di completare il percorso saporito del liquido.
La sua epoca di maturazione, come abbiamo visto posticipata rispetto a quella del sangiovese, rappresenta più di un suggerimento per i viticoltori attenti. Proprio per la costa a mio avviso si può ipotizzare un radioso futuro in purezza, e non mi stupirebbe che il foglia tonda potesse seguire le fortune del ciliegiolo: due fieri vitigni tradizionali pronti a soppiantare gli abusati vitigni “dell’epoca nuova” che poi tanto validi non si sono dimostrati, almeno in termini di personalità.
Non a caso i vini che metto sul podio della degustazione sono i tre le cui vigne sentono il mare, e i cui produttori sono Podere Sequerciani in Maremma, Anima Mundi a Usigliano di Lari, vicino Pisa, e Il Castellaccio a Castagneto Carducci, quest’ultimo davvero una rarità, dato che si tratta di un’azienda completamente fuori dal conclamato coro bolgherese, notoriamente marchiato da una evidente ispirazione bordolese.
Per la geografia interna credo che il foglia tonda possa adattarsi benissimo al ruolo di comprimario del sangiovese laddove quest’ultimo non riesca a camminare sulle proprie gambe. Ribadisco che è bene raccomandare vinificazioni in sottrazione, in grado di rispettare l’agilità del vitigno. In definitiva, il crescente interesse verso questa tipologia risulta ampiamente giustificato e vedremo in futuro la portata reale di una qualità che oggi comunque è già in grado di soddisfare ampiamente i palati amanti dell’originalità espressiva e dei vitigni, per l’appunto, tradizionali.
Vive sulle colline lucchesi. È uno dei principali collaboratori di Slow Wine, la guida annuale del vino pubblicata da Slow Food Editore. Si occupa da circa quindici anni di vino e cultura cercando di intrecciare il lavoro alcolico con quello narrativo.