Con l’avvicinarsi delle feste di fine d’anno mi sembra giusto pensare al prossimo – verosimilmente torrido – periodo estivo. Ciò rafforza il piacere fuggevole di godersi un clima grigio, freddo, poco luminoso. Un clima ideale per stappare i propri migliori rossi accumulando grassi dannosi per la salute sulla pancia (sui fianchi e sulle cosce nelle bevitrici). Nel mese di dicembre è peraltro fatto espresso obbligo, per chiunque scriva di vino, di parlare di vini mossi, ovvero contenenti frazioni più o meno abbondanti di gas carbonico. Ma la spumantistica, ovvero la prosecchistica per i filoveneti, ovvero la sciampagnistica per i più facoltosi, richiede doti comunicative che non coltivo.
Bisogna saper variare con studiato arzigogolo gli aggettivi e le analogie, mica si può andare sempre sulla solita crosta di pane, sulle note di pasticceria, sul “gusto verticale” e sull’acidità rinfrescante. Bisogna lasciare a bocca aperta i lettori per l’abbondanza di rimandi misteriosi, esotici, che il vero esperto di vino sa maneggiare con maestria ineguagliabile. “Chi non sa far stupir, vada alla striglia!”, scrive il Marino (Giovan Battista, non il magister Giancarlo).
Spazio quindi al kumquat, all’osmanto, al fior di frangipane, alla verbena, all’anturio, al papavero blu dell’Himalaya. Frequenti, nella compagnia di giro, anche alchechengi, funghi shitake (che una volta ho sentito pronunciare imprudentemente ‘scitèic’, come fosse una parola anglosassone), guava, feijoa, kiwano.
Mi devo quindi tenere a un repertorio più polveroso, lo ammetto. Quello del critico datato, che cerca banalmente di far capire al lettore che cavolo di forma abbia il vino: magro o strutturato, giovane o maturo, longilineo o tarchiato, dinamico o poco reattivo o addirittura statico, eccetera.
Nel descrivere quindi la recente stappatura di un tuttora tonico Brut Metodo Ancestrale 2011 La Palazzola, prodotto da Stefano Grilli, trascrivo quindi: colore che tira all’oro rosso, con riflessi appena ambrati, a segnalare una certa evoluzione; profumi che hanno a loro volta più di un’inflessione terziaria, ma ancora vitali e ariosi; sapore che permane tenacemente salino, deciso, molto vibrante e ritmato.
Un vino mosso che mi stupì alla sua uscita e che si conferma un esito di livello molto alto nelle spumantisticamente poco considerate terre dell’Italia centrale. Certo, rileggendo la scheda che gli dedicammo nella guida espressica del 2016 (con uno smagliante punteggio finale di 18.5/20), devo constatare la presenza di alcuni rimandi analogici classici: curry, elicriso, mandorla tostata. Ma sono peccatucci di gioventù. In fondo all’epoca avevo soltanto 56 anni.
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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen.
Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.