Lo sguardo critico sul decennio 1990-2000 del vino italiano non deve diventare uno sguardo iper critico: sarebbe troppo liquidatorio sparare sul pianista, o sulla Croce Rossa, o su un pianista che suona per la Croce Rossa. Quel periodo ha visto l’intronizzazione della figura dell’enologo star, partito negli anni immediatamente precedenti dallo status di semplice baronetto e assurto verso il 1998/1999 alla dignità imperiale…
Sembra incredibile, ma in Italia si continua a fare libri.
E non se ne stampano poche unità, come ci si aspetterebbe dati i tempi. Se ne stampano addirittura decine di migliaia, qualcosa come novantamila ogni anno. Non calcolando quelli abbastanza pesanti da essere usati come fermaporta, e nemmeno quelli usati per pareggiare i tavoli e le sedie, dobbiamo allora immaginare che i 600/700 titoli rimanenti vengano effettivamente letti.
Il progetto Brix e l’Albana di Brisighella. A margine della recente degustazione organizzata dalla novella associazione e condotta dall’autore, qualche considerazione nel merito, per cercare di capire cosa renda peculiare e unica l’Albana, cosa sia da conservare nel portato storico e cosa sia da migliorare. E anche per apprezzare fin dove può arrivare l’ironia e la genialità di una scrittura “diversa”.
Come affermava saggiamente il capo indiano Waȟpéhn Waŋh (Sbadiglio Consapevole), “in estate è meglio bere un bianco fresco e poco alcolico anziché uno Zinfandel californiano con 59 grammi/litro di estratto e 16 gradi alcolici”.
Da una vecchia cantina, il reperto inatteso, un vecchio Cornas di Thierry Allemand. Fra malinconia e stupefazione.
Esiste il terroir, o è un mito creato dai monaci circercensi e alimentato dalla Revue du vin de France?”, io personalmente rispondo: il terroir esiste, ma è un mito; è un mito, ma esiste. Come tutti i miti fondati, trae giovamento dall’essere demitato, o come dicono altri, demistificato
Il Bolgheri Sassicaia è molto probabilmente il vino rosso più conosciuto prodotto in terra italica, e se non lo è poco ci manca. Nasce nella Tenuta San Guido, fondata dal santo omonimo (Guido Vagnottelli da Cortona, 1187- 1247) e resa famosa da Ribot, un cavallo dalle incredibili doti di degustatore.
Il recente seminario in quattro incontri che ho tenuto per l’Accademia Treccani a Roma sul vino di Bordeaux ha confermato che la celebre macroregione è in grande crescita. O meglio, in grande recupero della sua migliore tradizione storica. Il periodo della parkerizzazione, con i suoi vini eccessivi, fuori misura – e talvolta il suo circo Barnum di vini mostruosi, sfigurati da concentrazioni folli e da insopportabili strati di aromi legnosi – è ormai in buona parte alle spalle.
Non è la prima volta che scrivo in una forma apparentemente anti-monelliana, anti-soldatiana, anti-veronelliana, rendendomi quindi subito anti-patico. Lo faccio perché sicuro della mia granitica stima nella sacra trinità del vino italiano. Un’ammirazione vera, non di facciata. Penso però che non si possa stimare un critico se non criticamente, cioè non prendendo ogni sua posizione per sempre e comunque priva di lati d’ombra.
Le gerarchie e i punteggi qui non c’entrano, né il vanto di stappature illustri. C’entra la descrizione di un teatro interno, dove i personaggi si muovono su una scena scritta in anni e anni di esperienza. La rappresentazione delle bevute storiche importante per dare un senso e una prospettiva alle bevute attuali. Ecco dunue uno Château Mouton-Rothschild 1986, uno Château Latour 1959, uno Château Cheval Blanc 1929, uno Château Pichon Comtesse de Lalande 1982