Da incallito frequentatore delle plaghe chiantigiane fin da tempi non sospetti (perché mai poi i tempi siano diventati sospetti -sempre che lo siano- non lo so, ma esordire così fa tanto figo!), ricordo ancora in che modo la piccola ed agguerrita cantina Monte Bernardi, all’origine, fece parlare di sé. Di un fulmine a ciel sereno si trattò, annunciato da etichette a dir poco ambiziose, specialmente nel prezzo: “appena” più del doppio rispetto a quello che staccavano le bottiglie del territorio più costose. Un esordio col bòtto, nel segno della esclusività! Oddio, eravamo in un momento storico per così dire ipertrofico, con i consumi vinosi in crescita – i primi anni ’90 del secolo scorso – dove peraltro nella Toscana vitivinicola iniziava a far la voce grossa il Supertuscan style (altrimenti detto ” di tutto di più”), che progressivamente sarebbe andato a scalzare la fisionomia tradizionalmente fresca e sfumata dei Chianti Classico a suon di uve “foreste” ed iniezioni di rovere piccolo, alla ricerca di maggior peso estrattivo, maggiore concentrazione, maggiore morbidezza fruttata e colori più intensi.
Ebbene, fu su questa idea di esclusività che il vulcanico proprietario di allora, lo “zingaro” Stak Aivaliotis, noto fotografo pubblicitario cipriota prematuramente scomparso nel 2009, ci costruì una nomea. Il taglio super bordolese Tzingana e il polposo sangiovese new generation Sa’etta rappresentarono così i vertici qualitativi di una produzione artigianale piccola nei numeri ma ben determinata a scalare le gerarchie di compiacimento dei mercati internazionali. Poi, si sa, i tempi cambiano, le mode passano, le aspettative e gli intendimenti stilistici probabilmente anche. Fatto sta che nel 2003 avviene un passaggio fondamentale nella storia di questa cantina: la famiglia “giramondo” Schmelzer -lui tedesco, lei americana- acquista Monte Bernardi. E’ la cronaca e la fotografia di un innamoramento, l’ennesimo, per la terra chiantigiana. In quel posto, da lì in poi, vi avrebbero abitato i cambiamenti, la progettualità e il cuore del giovane figlio Michael, multi laureato (pure in enologia) con una gran voglia di mettersi in gioco e di praticare il mestiere di vignaiolo.
Monte Bernardi conta oggi su circa 9 ettari di vigne (di cui 6 vecchie di 40 anni e 3,5 di più recente impianto) disposte tutte attorno alla cantina, nell’areale di Panzano in Chianti. Ma non ci troviamo nella “Conca d’Oro”, no, bensì più a sud, su di un rilievo collinare a 380 metri slm circondato dai boschi e contornato in basso dal corso del fiume Pesa; un luogo caratterizzato da un microclima più fresco e “contrastato” rispetto alla solarità della Conca, da cui potrebbero giovarsene profumi, sfumature ed articolazione, ben oltre la corposità e la presenza scenica. Le basi strutturali e la particolare stratificazione tannica di questi vini mutuano invece la loro ragion d’essere dalla specificità dei suoli, rara combinazione di galestro, alberese e arenaria a grana fine (pietraforte) con una gran quantità di minerali e quarziti al loro interno: fra i più sassosi del Chianti Classico.
E fu così che gli intendimenti della prim’ora, figli della gestione precedente e tendenzialmente orientati verso le bassissime rese e l’uso della barrique, hanno trovato un efficace contrappunto nel “sentire” nuovo di Michael, che ha deciso fin da subito di affiancare un’agricoltura biologica, poi biodinamica, a pratiche di cantina poco interventiste. Con alla base l’uso dei lieviti indigeni, il ricorso al solo sangiovese per creare l’ossatura dei tre vini cardine della produzione (“annata”, Riserva e selezione Sa’etta), l’utilizzo di vasi vinari sia in cemento che in rovere (troncoconici) per la fermentazione (anche malolattica), l’introduzione di botti di diversa taglia -sostanzialmente grandi- per l’affinamento. Ma soprattutto, con alla base un’umiltà e una curiosità intellettuale inesauribili . Una rivoluzione a tutto campo quindi (pure nella politica commerciale, oggi più “umana” e in linea con le altre eccellenze del territorio), tesa ad ottenere vini meno estrattivi e più flessuosi, quali fedeli traduttori di un terroir in grado di infondere interessanti coloriture sapido-minerali e in grado di beneficiare di buone escursioni termiche, dell’influsso regolatore del fiume e della presenza dei boschi.
A distanza di qualche anno i risultati, in vigna come in cantina, si vedono. Se stiamo ai vini, il testimone (più) eloquente di questa rivisitazione stilistica è quello quantitativamente più visibile, ossia il Chianti Classico “annata”, rinominato RETROMARCIA, a sottolineare fin dalla etichetta che a Monte Bernardi si è voluti ritornare ad una idea di vino più tradizionale rispetto agli esordi. Un vino che, dopo alcune versioni di “assestamento”, raggiunge il suo apice espressivo con l’annata 2013, che uscirà sui mercati quest’anno, grazie ad una naturalezza, a un dettaglio e a un garbo espositivo che ne vanno disegnando contorni tutti nuovi. Un sorso bellamente stilizzato, senza forzature, da cui poter apprezzare il coinvolgente richiamo del fiore e del frutto chiantigiani, con il solco sapido che attiene ai vini di territorio più armoniosi e puri.
Di contro, la maggiore struttura e l’annata calda di riferimento stanno facendo assumere al Chianti Classico Riserva 2011 un tratto aromatico-gustativo più altero, pieno e compatto, non ancora aperto né comunicativo, da quando senti il freno tannico comprimerne gli allunghi. A parità di annata, il Chianti Classico Riserva Sa’etta 2011, le cui uve sangiovese derivano dal vigneto omonimo e dai ceppi più vecchi attualmente in produzione, offre indubitabile ricchezza e piena saldezza strutturale, incanalate in un registro espressivo anche qui non propriamente disteso nei toni ma dalla cui trama lascia lampeggiare un tannino di razza, una sapidità allettante e una determinazione che guarda al futuro. Insomma, un vino da attendere con fiducia, come spesso accade qui a Monte Bernardi.
Per finire con il taglio bordolese (che, è interessante sottolinearlo, vede le diverse uve costituenti fermentare insieme), ecco che dopo uno Tzingana 2010 molto convincente per la nitidezza, l’eleganza e l’ottimo bilanciamento fra densità e ariosità, anche Tzingana 2011 si presenta ben caratterizzato. Forse con un pizzico di veracità e di calore di troppo, se lo confrontiamo con la modulata compostezza dell’annata precedente, provvisto però di una dote tannica davvero fusa e dolce e di un incedere sicuro, instradato da note di peperone e sale.
Visita in cantina effettuata nel mese di febbraio 2015.
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Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.