In una storia che abbraccia secoli, di cose ne possono accadere. Anzi, sono obbligate ad accadere! Fra queste contiamo le trasformazioni, i mutamenti, le migrazioni, il progresso, le guerre e la pace. San Gimignano non si è fatta mancare niente, ma qui il tempo ha uno scorrimento tutto suo e lo si conta in ere, perchè è terra antica, così come antico è il suo vino, anomalia bianca nel bel mezzo di una terra abitata prepotentemente da vini rossi. Una enclave quindi, un piccolo distretto, da cui non poteva che discendere unicità, per fare il paio con un paesaggio così.
E’ pur vero che unicità e dignità, per un prodotto agricolo come il vino, non sempre collimano. E se non collimano raramente è colpa del terroir, più frequentemente è colpa del “manico”, ossia dell’uomo, e della sua mala-interpretazione.
E se l’istituzione della prima DOC italiana, nel lontano 1966, ha sancito con atto formale una sorta di rinascita dopo alcuni secoli di anonimato, la rinascita qualitativa, ossia il traghettamento verso la Vernaccia della contemporaneità, è tema molto più recente. Perché si dà il caso che, nonostante i riconoscimenti statutari acquisiti per storicità e pregresso, non tutti i produttori sangimignanesi navigassero verso i medesimi orizzonti, anzi, i più veleggiassero a vista con piccoli cabotaggi sulle acque apparentemente tranquille generate dal grande successo turistico dei luoghi, che alla lunga ha fatto più male che bene, adagiando sugli allori di una facile ricompensa commerciale una produzione potenzialmente distintiva che è andata invece affievolendosi nel conforto placido di un andazzo congiunturale conveniente, illudendosi di poter fare a meno della personalità.
Uhei, non che di cammino non ne sia stato fatto, anche in tempi meno recenti, ma erano periodi in cui, a fronte dell’impegno di poche mosche bianche, il territorio rispondeva con una valanga di vini incerti, tanto anodini se colti in prima gioventù quanto precocemente ossidati dopo pochi anni di bottiglia.
La rivoluzione in verità è iniziata dal vigneto e, soprattutto, con lo svilupparsi di una nuova coscienza critica, su su fino alle pratiche di cantina, al fine di far risplendere senza maquillage un vino di nobile allure che aveva ed ha le sue peculiarità, peculiarità che non dimorano nella faciloneria e nell’immediatezza, e di cui il tempo è in grado di farsi garante.
Ci sono voluti impegno e perseveranza per ottenere i primi risultati importanti proponibili su una scala che potesse definirsi quanto più generalizzata, e questo dopo che la risalita della china aveva persino accolto il “meticciato” pesante, per trasformare l’introspettiva Vernaccia in qualcosa di più accattivante dal punto di visto aromatico, in un continuo ammiccamento ad altra cosa che non fosse lei.
Accostarsi ad una grande Vernaccia oggi, ad una Vernaccia autentica, rigorosa, territoriale e distante dalle scorciatoie di cui si era fatta scudo fino a qualche lustro fa, significa accostarsi ad un vino caratteriale, magari lento e austero, che gioca di sottotraccia dietro la scorza di una esteriorità che non contempla profumi invasivi o primattori, casomai solidità strutturale, indole terragna e un portamento nobilmente compassato, segnato da profumi che richiamano il grano, i cereali, la frutta bianca e le piccole infiorescenze, nei casi migliori orientadosi con l’invecchiamentto su desinenze affumicate, torbate o idrocarburiche, dove a trascinare, più che l’acidità, è la vena sapida quasi “marina” che ne innerva la trama, dote quest’ultima legata a doppio filo ad una terra formatasi negli ultimi 200 milioni di anni sui lasciti di un antico mare, dove depositi sabbiosi e argillosi poggiano su strati di calcare e travertino.
La panoramica che segue non ha il dono dell’esaustività. E’, piuttosto, una selezione ricavata da una delle vendemmie più felici degli ultimi anni (salvo una dovuta eccezione), il cui sostanziale equilibrio ha consentito ai vini di potersi magnificamente esprimere in diverse fasi della parabola vitale: oggi (certamente), e in futuro (con ogni probabilità).
Altri vini vi sarebbero, di lignaggio parimenti meritevole, ma questa selezione, frequentata da etichette a diverso grado di caratterizzazione, ritengo sia di per sé bastevole per far lampeggiare la qualità del percorso intrapreso dalla denominazione e dai suoi interpreti.
In questi bicchieri c’è la Vernaccia della contemporaneità; di fronte a bicchieri così – o a gran parte di essi – non te la spieghi più quella pregiudiziale, schifittosa presa di distanza da parte di certi cultori del buon bere. Perché questi vini qua, nel reclamare un ascolto attento, propongono un affresco stilistico di luminosa accuratezza in grado di rispecchiare fedelmente le potenzialità di un territorio che sta tentando di tornare ad essere unico in tutto e per tutto. Solo così, ritagliandosi un ruolo da protagonista attraverso vini “parlanti”, potrà riallacciare un dialogo più stretto con l’eccellenza.
Eppoi sapete che c’è, c’è che per ogni vino che sa di grano Lugi Veronelli era solito portarsi il calice sul cuore. Ed io con lui.
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VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA BENEDETTA 2016 – FATTORIA SAN DONATO
Tiepidamente solare e terragna, la selezione di Umberto Fenzi profuma di fieno, vaniglia e roccia calda, il quadro è dispiegato, affascinante, la bocca “borgognotta” pur senza la pressione dell’acidità “borgognotta”, ma non dissimile quanto a impasto dei sapori, lì dove piacevolezza e complessità ben volentieri si fondono. L’annata equilibrata certo ci mette del suo, propiziando un andamento gustativo centrato ed espressivo. Soprattutto, senza dispersioni e cliché.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA L’ALBERETA 2016 – IL COLOMBAIO DI SANTA CHIARA
Ai fratelli Logi gli sono bastate poche vendemmie per traghettare l’indole terragna della Vernaccia su traiettorie decisamente eleganti e personali, e su una dimensione espressiva che alla solidità strutturale sappia legarci il fraseggio sottile, all’eloquenza il non detto.
La nuova Albereta è un bianco complesso, elegante, dall’intrigante paesaggio aromatico, solare ma fresco, ampio ma incisivo. E’ un ottimo vino, dalla coda gradevolmente balsamica e ammandorlata e con il rovere perfettamente integrato, circostanza quest’ultima che fa la quadra e chiude il cerchio.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO FIORE 2016 – MONTENIDOLI
Come un treno a vapore, si distende grazie all’abbrivio dell’ossigenazione, spandendo il suo prezioso carattere poco per volta, man mano che il quadro aromatico va a illimpidirsi acquisendo sfumature (e con le sfumature tonalità più fresche e agrumate) e la trama ad illuminarsi di purezza e profondità. E, come un treno a vapore, arriva dritto alla meta.
C’è una naturalezza espressiva che ti inchioda all’ascolto qui, e c’è l’ennesimo grande vino di Elisabetta Fagiuoli, di colei cioè che nel “monte dei piccoli nidi”, con caparbietà ed anarchico rigore, in 50 anni ha costruito un racconto di vita fondato su passioni, autenticità e rispetto. E si vede.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA VIGNA AI SASSI 2016 – TENUTA LE CALCINAIE
Vernaccia dal profilo nordico, quella di Simone Santini, estroverso e talentuoso vigneron sangimignanese, pervasa da una bella sensazione minerale e provvista di una trama flessuosa in grado di accordare spazi alla gentilezza, fino ad assumere toni eleganti, scanditi da un riflesso terpenico (ma senza esagerare), da accentature floreali e balsamiche, da sentori di fieno. Ti colpisce per la qualità della materia e per l’ampiezza gustativa, a fronte di una coda leggermente alcolica e di uno sviluppo adeguatamente coordinato. Ah, c’è un piccolo saldo di chardonnay.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2016 – SAN BENEDETTO
Old fashioned, fra sbuffi eterei e un candore placido che richiama alla mente la camomilla, la mela cotogna, la caramella d’orzo e il grano. In bocca l’ampiezza non si traduce in una progressione particolarmente incalzante, senti invece il grasso, la materia, l’avvolgenza, quelli sì. Eppure, anche se gli viene a mancare una superiore dinamica, tout se tient con apprezzabile armonia, mentre la suggestione prevalente ti ricorda una purezza arcaica, che altri non è se non classicità.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2016 – GUICCIARDINI STROZZI
Naso poco espansivo ma teso, sottile, affilato; bocca corrispondente, dinamica, profilata più che diffusiva. Lascia trasparire territorio, il finale è austero e senza moine, il disegno curato anche se non dettagliatissimo, la personalità introspettiva ma convincente, su lontani echi di torba.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA LE MANDORLE 2016 – POGGIO ALLORO
Una bella sorpresa, lo ammetto, questa Vernaccia quasi in purezza (c’è un saldo di chardonnay) dei fratelli Fioroni. Elegante e sfumata, profuma di cereali, macchia e affumicato, sfoggiando uno spettro aromatico davvero modulato e ben espresso. Bocca coerente, fresca, determinata, di seducente dolcezza fruttata, lì dove la trama si riprende ancor di più la voce varietale, facendola sua.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO AB VINEA DONI 2016 – CASALE DI FALCHINI
Concessivo e ben disposto al naso, sono cereali, orzo, accenti balsamici ed erbe aromatiche. C’è una idea di freschezza qui. Bocca dritta e precisa, dalla chiusura asciutta, pulita, indubitabilmente secca. Una Vernaccia didattica, di smaliziata allure tecnica, a suo modo ineccepibile.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO CASANUOVA 2016 – FONTALEONI
Delicatamente sfumato da note di cereali e roccia calda, ben disegnato nonostante si offra secondo un eloquio non troppo espansivo, la ritrosia di cui si veste non si tramuta in rigidità e l’indole terragna, se pure ammette qualche indefinitezza, si associa ad un senso di freschezza che ne va ad amplificare il respiro. Con un pizzico di chardonnay on its side.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO LYRA 2016 – IL PALAGIONE
Al quadro introspettivo e rarefatto dei profumi -orzo, erbe aromatiche, mentuccia, resina e grano in elegante accennare- ci accosta una bocca infiltrante che fila via impettita, dalla quale puoi respirarci purezza. E poi una fibra austera e nobilmente compassata, quella di un vino silente che ti scava dentro ad ogni assaggio.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA SANICE 2016 – CESANI
Giallo color grano maturo, naso “campagnolo”, grintoso e bellamente verace, bocca di bella fibrosità, maschia e risoluta (ma non troppo), asciutta, fiera, ammandorlata, senza fronzoli. E’ Vernaccia, Vernaccia non edulcorata, Vernaccia vera. Assieme alla materia ne riconoscerai, autentica, la vibrazione. Un pizzico d’alcol in meno e il respiro, con la bevibilità, ne trarrebbe ulteriori benefici.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA I MOCALI 2015 – VAGNONI
Se Vernaccia di San Gimignano, oggi, può significare una “cosa” come questa, se cioé si può arrivare così in alto in fatto di espressività, profondità e razza, beh, allora sarà il caso di farci un pensierino serio in proposito, del tipo ridisegnare confini tutti nuovi al paesaggio d’autore del vino italiano. Perché una “cosa” come la Riserva I Mocali 15 dei fratelli Vagnoni è semplicemente un conseguimento raro, di quelli che scompaginano certezze aprendo alla luminosità dell’inatteso.
Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.