Mentre percorriamo i ripidi sentieri delle “colline nascoste” del Gattinara Docg, celebre vino piemontese amato da Mario Soldati e menzionato da altrettanti scrittori del Novecento, scorgo lo sguardo fiero di Stefano Dorelli, colui che dà voce alla cantina Delsignore. L’azienda vitivinicola è situata nel pieno centro del comune che dà il nome al vino sopracitato, in provincia di Vercelli.
Siamo agevolati da un pick up, con una normale auto risulta impensabile anche solo avvicinarvisi a questi sentieri per via delle pendenze e del terreno frastagliato. Il nostro protagonista è intento a raccontarmi del suo nuovo progetto legato perlopiù ad un vigneto storico del territorio su cui ha lavorato parecchio. Sto parlando del Palfer, in dialetto “palo di ferro”. Il Gattinara, nobile vino rosso piemontese, viene prodotto esclusivamente all’interno dell’omonimo comune. Assieme al Ghemme rappresentano le uniche due Docg dell’Alto Piemonte, un territorio compreso fra le province di Novara, Vercelli, Biella e Verbano Cusio Ossola che ormai da diversi anni sta riscuotendo l’interesse dei consumatori e dei mercati. Da buon novarese la cosa non può che farmi piacere anche perché queste colline, protette in gran parte dalle possenti braccia del Monte Rosa e dalle Prealpi Biellesi, oltre ad essere vocate custodiscono un passato ricco di tradizioni legate alla viticoltura.
Per carpire l’importanza storica di queste terre basti pensare che fino agli anni ’50 il parco vigneti era il protagonista assoluto di gran parte dell’Alto Piemonte, con ben 42.000 ettari vitati. Rilievi collinari quasi interamente coperti di vigne dove oggi troviamo boschi e un paesaggio ancora parzialmente incontaminato. Occorre ricordare purtuttavia che l’arrivo del boom economico fece desistere le genti del territorio dal continuare a coltivare la vite. Senza alcun dubbio il settore industriale garantiva un guadagno ben più sicuro e soprattutto lontano dai mille capricci della natura. Nel circondario fiorirono piccole e medie industrie legate al settore dell’abbigliamento, arredamento, tessile e metalmeccanico.
La storia del vino di Gattinara si perde nella notte dei tempi. I vigneti furono impiantati dai Romani nel II secolo a.C. La leggenda narra che l’abitato di Gattinara sorga nel luogo dove il proconsole Quinto Lutazio Catulo sacrificò alle divinità le spoglie di guerra dei Cimbri, che nel vercellese persero la battaglia nell’estate del 101 a.C. Qui venne eretta la Catuli Ara, Ara di Catulo, da cui presero il nome la città ed il vino. Secoli dopo, attorno al 1518, il marchese di Gattinara e Cancelliere di Carlo V, il cardinale Mercurino Arborio, presentò il celebre vino alla Corte del Re di Spagna attirando così l’interesse della nobiltà europea e offrendolo quale efficace mezzo di trattativa diplomatica.
Nel 1967 fu istituita la Doc, tra le più antiche del Piemonte, e nel 1990 fu approvata la Docg. I terreni ricchi di ferro, porfidi e un suolo di derivazione vulcanica – oltre ad esposizioni notevoli – rendono il nebbiolo, anche chiamato spanna da queste parti, un vino in grado di sfidare il tempo in maniera oserei dire quasi surreale. Ho degustato personalmente bottiglie degli anni Cinquanta-Sessanta e sono rimasto incredulo il più delle volte. Il disciplinare del Gattinara prevede una percentuale maggiore della cultivar sopracitata (90%) pur tuttavia, nonostante sia concesso l’utilizzo di altre uve autoctone locali (vespolina e uva rara) i produttori scelgono di vinificarlo in purezza per esaltare le peculiarità del vitigno e del territorio.
La cantina Delsignore non fa eccezione anche perché Stefano Dorelli è un amante sfegatato del nebbiolo, tanto da produrne svariate etichette: dal Coste della Sesia Rosato allo Spanna, passando per i Gattinara e dulcis in fundo la tipologia metodo classico che mi ha pienamente convinto sin dal suo esordio. In tal senso la prima etichetta immessa sul mercato è figlia dell’annata 2011, dunque Delsignore è una cantina che ormai vanta una discreta esperienza legata al mondo delle nobili bollicine; in Alto Piemonte un prodotto alquanto inusuale. Più avanti avremo modo di approfondire due etichette specifiche.
Stefano avvia l’azienda nel 2009. Vanta un bagaglio di esperienze lavorative in diversi settori, ma l’informatica è la materia che per oltre dieci anni ha riempito gran parte della sua vita. Arriva il giorno in cui decide di cambiare registro con l’intento di recuperare gran parte delle tradizioni familiari. Il suo primo Gattinara corrisponde all’annata 2004, e l’avventura inizia con poco meno di un ettaro di proprietà più qualche vigna in affitto. La produzione oggi si attesta attorno alle 12 mila bottiglie annue, di cui 6.600 di metodo classico e rosato, e gli ettari sono diventati quasi tre. Comprendono alcuni tra i cru storici del Gattinara Docg. Il vigneto che mi ha maggiormente colpito è il Permolone, ereditato dal nonno, un fazzoletto di terra stupenda con una vista sul Monte Rosa a dir poco commovente. Ho avuto la fortuna di trovare una giornata soleggiata con cielo terso. Il Palfer è una vigna iconica dell’azienda dove Stefano nel 2016 ha effettuato nuovi reimpianti di spanna (clone cobianco cvt c2).
Mi racconta che i porfidi presenti nel sottosuolo da queste parti sono talmente duri che gli operai hanno dovuto utilizzare la barramina per romperli. Altre uve provengono dai vigneti: Lurghe, Valferana (forse il più celebre e vocato di tutto il territorio), Villetto e Piantesio. Quest’ultimo sfruttato in gran parte per la produzione del vino rosato e delle basi spumante. Fino al 2019 tutte le lavorazioni venivano effettuate a mano: dai trattamenti allo sfalcio dell’erba. Oggi vengono utilizzati mezzi meccanici in vigna ma la vendemmia ovviamente è sempre manuale, anche perché considerando le pendenze e gli spazi risulta inconcepibile qualsiasi altro metodo.
Stefano applica una filosofia dedita al minimo impatto. Tutelare l’ecosistema circostante è un preciso dovere morale oltre che una sorta di “assicurazione per il futuro”. Interviene il meno possibile al fine di tutelare esclusivamente il sano sviluppo della pianta e combattere le consuete malattie della vite che in Alto Piemonte, ahimè, ogni tanto prolificano. Occorre dunque la massima attenzione in vigna e la capacità di saper anticipare, mediante azione mirate, l’evolversi di tali fenomeni. Alludo soprattutto alla peronospera, oidio e flavescenza dorata.
Veniamo dunque agli assaggi effettuati in cantina, non prima di aver ringraziato Stefano per avermi accompagnato in questo bel tour all’insegna dei cru del Gattinara e per la gradita ospitalità.
Metodo Classico Extra Brut Rosè 2021
Nebbiolo in purezza, sedici mesi sui lieviti. Un bel cerasuolo vivace ed il colore è amplificato da un perlage fine e continuo. Al naso toni ferrosi e un agrume fresco e stimolante, pesca e frutti rossi canditi; il finale ammicca anche alla pasticceria secca. Il vino in bocca risulta slanciato, teso e al contempo suadente. L’equilibrio è la sua maggior virtù unita a doti di bevibilità. Persistenza non trascurabile così come l’intenzione di abbinarlo ad una buona rosetta farcita con abbondanti fette di salame semi stagionato.
Metodo Classico Dosaggio Zero Rosato Mecco 2018
Stefano Dorelli dedica questo vino al padre Domenico, anche chiamato Mecco. Nebbiolo in purezza, 48 mesi sui lieviti. Il perlage fine e continuo evidenzia in controluce tonalità rosa cerasuolo con riflessi buccia di cipolla. Il respiro è in levare, sottile e cangiante: ribes e mirtilli rossi, zagara, mandarino candito ed effluvi minerali ferrosi uniti ad un soffio balsamico piuttosto evidente; soprattutto a circa 5-10 minuti dalla mescita. Ne assaggio un sorso e vengo rapito dalla sua freschezza e corrispondenza agrumata. Anche il cento bocca non scherza affatto e la scia sapida, in chiusura, mostra la mineralità del vigneto Piantesio. Perfetto su un crudo di gamberi e guacamole.
Coste della Sesia Spanna La Crotta 2021
Nebbiolo 85%, allevato all’interno del vigneto Permolone, e 15% tra vespolina e croatina. La macerazione delle uve dura circa otto giorni, il vino affina 12 mesi in barrique usate prima dell’imbottigliamento. Granato caldo, bella trasparenza e medio estratto. Al naso ricordi di ciliegia matura, liquirizia dolce ed erbe officinali unite ad incenso. Sorso leggiadro non privo di profondità e carattere, morbido nel suo incedere fresco e dalla grip tannica piuttosto moderata. Progressione da centometrista, il finale di bocca è ancora una volta sapido e in totale assenza di alcol percepito. Risotto con funghi porcini.
Gattinara Il Putto 2019
Questa volta i giorni di macerazione salgono a 17 e il vino affina 28 mesi in botti grandi. Uve nebbiolo in purezza. Apprezzo molto gli aromi di sottobosco uniti ad un frutto pieno, opportunamente maturo in richiamo all’amarena, ribes e mirtillo; ma anche viola, tabacco e caffè. In bocca è asciutto e dal tannino marcante, l’apporto del legno è ben dosato così come la sensazione pseudo calorica. Sfuma leggermente in anticipo rispetto alle mie aspettative, pur tuttavia rimane un vino appagante che ben accompagna un piatto di stufato di manzo con zucca e funghi cardoncelli.
Gattinara Riserva Borgofranco 2018
Arriviamo dunque alla Riserva di Stefano Dorelli, un Gattinara da uve 100% nebbiolo che affina 42 mesi in tonneaux. Come tutti i grandi spanna richiede tempo per aprirsi, ma una volta che ciò accade i profumi a tratti risultano ipnotici. Nell’ordine: amarena matura, Boero, liquirizia e caffè, grafite e toni ferrosi uniti a suggestioni balsamiche e di sottobosco. La parte floreale è l’ultima a palesarsi anche perché il vino è ancora estremamente giovane, occorre tempo per scrollarsi di dosso tutta l’irruenza del terroir, ma ecco che il ricordo di viola ad un tratto prende il sopravvento. Complessità da vendere insomma, evolve di continuo. Anche in bocca avverto tutta la sua gioventù nonostante un tannino già parzialmente godibile. Lo si deve in parte all’annata piuttosto calda e in parte al fatto che Stefano non ama prolungare eccessivamente i tempi di macerazione sulle bucce. Lunghissimo e coerente rispetto a quanto percepito al naso, la freschezza è in linea con una sapidità davvero travolgente. Tapuolone (stracotto d’asino) con polenta bramata.
Le foto sono dell’autore
Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.