Progetto Brix, qualche considerazione consuntiva personale

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Dopo la degustazione che ho condotto qualche giorno fa in occasione della presentazione del progetto Brix, in quel di Brisighella, traccio un consuntivo della bella esperienza e azzardo qualche considerazione finale. Per cominciare è stato impressionante per me guidare una degustazione con 60 partecipanti, io al massimo ne ho condotte con 57, 58 persone.

I produttori di Albana e gli appassionati esperti del territorio presenti in sala si saranno chiesti a che titolo io guidassi l’assaggio; me lo sono chiesto anch’io, quando Paolo Babini, Cesare Gallegati e Iacopo Casadio mi hanno gentilmente invitato. Ho infatti ricapitolato mentalmente: tre o quattro sopralluoghi in Romagna negli ultimi trent’anni; un centinaio di Albana assaggiate; una decina, se va bene, di aziende visitate: posso quindi considerarmi uno dei due o tre maggiori inesperti italiani – e direi anche internazionali – di vini romagnoli.

Stavo quindi per declinare la proposta, ma poi ho pensato: qualche piccolo titolo tutto sommato penso di averlo, con i numeri che ho citato sono abbastanza in linea con la competenza del critico enologico italico medio, e magari pure un po’ sopra, se considero chi si limita a fare la foto di una bottiglia e a metterla online. Poi mia madre era romagnola, addirittura proprio di Bertinoro, cuore dell’Albana storica, quindi avrei potuto forse attingere a qualche angolo del mio corredo genetico per interpretare una frazione del territorio.

Perciò ho accettato. Facendo una singola richiesta, di poter essere affiancato da un tecnico, qualcuno che conoscesse par coeur il soggetto e che rispondesse alle legittime domande del pubblico, dalle più elementari (“da che uve viene l’Albana?”) alle più complesse (“quale tra i cloni AL 7 T e il VCR 21 è più resistente alla botrytis?”).  E di poter essere quindi presente nella sola veste di assaggiatore. Non ho quindi selezionato le otto Albana presenti, e nemmeno i quattro bianchi della Loira messi a confronto.

Per le premesse suddette, non ho condotto una degustazione trattando i bianchi  stappati come vini di territorio, ma – con un inevitabile abbassamento prospettico, funzionale a cavarmela senza troppi danni – come vini da vitigno. Con tutti i limiti di questo approccio critico.
Le Albana presenti:

Corallo Oro Gallegati
Poggio della Dogana
Bulzaga
Casadio
La Collina
Monte Siepe di Vigne di San Lorenzo
Fiorile Brix di Fondo San Giuseppe
Monteré Brix di Vigne dei Boschi

I loiresi (lòrici) presenti:

Bel Air e Les Epinays La Grange Tiphaine
Saumur L’insolite Domaine Des Roches Neuves
Le Haut Chemin Domaine Saint Nicolas

Non chiedetemi le annate perché non le ho trascritte; comunque sono certo che tutti vini fossero tra il 1976 e il 2023.

Perché un paragone proprio con lo chenin blanc? Nel web si legge: “Nel 1999, l’analisi del DNA ha mostrato che lo chenin blanc ha una relazione genitore-figlio con l’uva da vitigno savagnin. Ulteriori prove del DNA mostrano che lo chenin blanc condivide una relazione tra fratelli con trousseau e sauvignon blanc (entrambe le uve probabilmente progenie di savagnin), il che suggerisce fortemente che lo chenin blanc sia la progenie e savagnin sia la varietà madre. Attraverso il rapporto fratellastro di chenin con il sauvignon blanc, l’uva è imparentata come una varietà di zio/zio con l’uva da vino bordolese cabernet sauvignon, che è la progenie del sauvignon blanc e del cabernet franc.”

Da ulteriori analisi, più recenti, pare che una cugina di latte dello chenin blanc si sia sposata in Italia con un albanone (di Ravenna), che è un sinonimo dell’albana. Quindi le due varietà sono imparentate, sia pure molto alla lontana. Da qui la fondatezza della scelta dei produttori di Brix.

In assaggio le Albana hanno mostrato caratteri simili – una significativa energia e spinta dei tannini – e tratti differenti: maggiore o minore peso estrattivo, silhouette più polpose e “larghe” o figure più slanciate e longilinee, più reattive grazie a una decisa corrente acida (e a qualche accensione volatile qua e là: per me piacevole e mai sopra le righe).
Il paragone con gli Chenin Blanc ha a sua volta mostrato caratteri simili – la relativa carenza di apertura aromatica en vin jeune comune alle due uve, sebbene illustri trattatisti considerino entrambe varietà espressive all’olfatto, ma a me non sembra – e tratti differenti: molta più mineralità nei gallici, molta più presa sapida nei nostrani.

Il punto però non era – e non mi pare sia – fare confronti qualitativi, ma cercare di capire cosa renda peculiare e unica l’Albana, cosa sia da conservare nel portato storico e cosa sia da migliorare.

Personalmente ho afferrato confusamente che lo snodo stilistico forse decisivo è interpretare la cospicua dote tannica del vitigno. In conversazioni a latere alcuni vignaioli mi hanno confermato il loro entusiasmo per la ricchezza tannica dei loro vini, altri hanno precisato che la loro ricerca è nel ridurne l’esuberanza polifenolica e di esaltarne la dinamica.  Le prossime edizioni ci aiuteranno a capire meglio la direzione del progetto, che già da oggi appare comunque molto promettente. Auguri.

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