Era il 2003 quando Luca Gargano, già ben noto per essere uno dei maggiori esperti di rum al mondo, decise di avviare la prima distribuzione totalmente focalizzata sui cosiddetti “vini naturali”. Una selezione pionieristica per i tempi, guidata da un decalogo che delineava precise regole produttive da rispettare: un approccio agricolo di tipo biologico, fermentazioni spontanee operate da lieviti indigeni, la completa esclusione di additivi e coadiuvanti chimici, tecniche di cantina il meno invasive possibili. Nacque così la “Triple A”, dove le “A” stanno per “Agricoltori, Artigiani, Artisti”, le doti necessarie affinché un vignaiolo – secondo Gargano – potesse produrre un grande vino. Oggi, a vent’anni dalla fondazione, questi concetti fanno parte del bagaglio culturale di tanti enofili ed appassionati, ed alcuni dei primi “sconosciuti” vignaioli coinvolti da Gargano sono diventate vere e proprie “star” del vino, ricercate in tutto il mondo.
“Triple A” distribuzione, nel frattempo, è cresciuta e conta ormai a catalogo più di cento referenze da tutto il mondo, con alcune delle realtà più rappresentative dei terroir d’appartenenza, aprendosi anche al mondo dei distillati. Questo volume ad alto peso specifico, bellissimo esteticamente e curato nella grafica, ne ripercorre le tappe fondamentali, raccontando le storie dei protagonisti di un percorso formidabile, che parte dal passato e guarda al futuro.
DAI VINI DEL NUOVO MONDO AGLI AGRICOLTORI, ARTIGIANI, ARTISTI
Velier fu tra le prime aziende a importare e distribuire in Italia i vini del Nuovo Mondo enologico: Argentina, Cile, California, Sud Africa, Australia etc etc…. Ad un certo punto, già a partire dagli anni ’80, questi vini diventano “noiosi” e ripetitivi: cominciano a somigliarsi tra loro, perdendo identità territoriale, varietale e della mano del produttore. L’incontro illuminante con Serge Hochar di Chateau Musar, in Libano – una figura che sarà determinante per la nascita del decalogo di regole “Triple A” – permette a Gargano di individuare nell’agricoltura intensiva, nei lieviti selezionati e nelle nuove tecniche enologiche le radici di questo fenomeno di omologazione del gusto. Inizia allora un lavoro di ricerca di produttori autentici, che parte dalla Francia e dalla Slovenia. Nel 2003 esce ufficialmente il primo catalogo “Triple A”. La rottura è netta. Da un giorno all’altro, Velier smette di distribuire i vini che vendeva fino ad allora, fatta eccezione per i produttori che rispettano il decalogo “Triple A”. Sono tre: Domaine Huet, Movia e, naturalmente, Chateau Musar.
L’INGRESSO DEGLI ITALIANI
Presto “Triple A” diventa il simbolo per identificare una tipologia di approccio all’agricoltura e alla vinificazione. Così, nelle carte dei vini dei ristoranti, sotto il cappello Triple A, compaiono etichette di produttori italiani non distribuiti da Velier. Nel 2004 quindi Triple A si apre anche ai vignaioli italiani, con i primi ingressi come quello di Cascina degli Ulivi o Emidio Pepe. Il catalogo Triple “A” negli anni si amplia. Ai fondatori e ai pionieri si affiancano sempre più produttori provenienti da tutta Europa e in alcuni casi anche da oltre oceano. Nel mondo del vino molti vignaioli intraprendono percorsi di conversione all’agricoltura biologica e a vinificazioni meno interventiste, al cui fianco presto si affacciano le nuove generazioni di vignaioli con una sensibilità nuova e la voglia di rottura con il modello agricolo dominante. Il nome Triple “A” esce dall’Italia e spesso gli importatori internazionali usano il catalogo degli Agricoltori, Artigiani, Artisti per fare scouting di nuove realtà in linea con quella filosofia.
LA POLICOLTURA NEL FUTURO DI TRIPLE “A”
Lo sviluppo futuro di Triple “A” avrà al centro del dibattito il ritorno alla policoltura, che un tempo garantiva l’autosufficienza alle fattorie e un’assicurazione sul raccolto. Quando si cominciò a voler applicare le logiche industriali all’agricoltura, le aziende agricole tradizionali andarono via via trasformandosi, fino al completo abbandono della loro dimensione originale basata sulla diversificazione e convivenza delle colture e delle produzioni. Quel modello si sta rivelando insostenibile sul lungo periodo, sia a livello ambientale sia a livello di salvaguardia delle aziende stesse. Oggi, nell’ottica di limitare gli effetti del cambiamento climatico e nella concezione di una azienda agricola come organismo vivente a ciclo chiuso, un ritorno alla policoltura non rappresenta un gesto nostalgico, ma un cambiamento di prospettiva necessario e un’importante assunzione di responsabilità.
INFO
Rilegatura: Copertina rigida con capitelli
Numero di Pagine: 320
Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!