Della incredibile storia di Carlo Parenti ne apprezzi il coraggio e il fatalismo. Perché lasciare la propria città (Milano), la casa e il lavoro senza alternative concrete, mossi soltanto dall’idealità e dalla speranza di poter ricostruire una vita che potesse fregiarsi di un segno più personale, porta in sé e con sé i germi dell’ingegno e della follia.
Gli accadimenti della vita, poi, obbligati o casuali che siano, alle volte ci mettono del loro per generare incastri inattesi. Ecco, Macchion dei Lupi nasce da quegli incastri lì. Sliding doors, conoscenze fortuite, pour parler, visioni….
Dire quindi che Carlo si sia fatto da solo, senza compagnie cantanti alle spalle, e senza ancor oggi possedere niente se non una piccola casa sulle colline di Suvereto prossima alle vigne ( vigne e cantina sono frutto di contratti di affitto), è dire poco. Per quel pezzo di terra, e per alimentare il sogno di diventare viticoltore, si è ritrovato a dormire per mesi in un magazzino, senza luce, senza servizi igienici, e a costruirsi pezzo per pezzo il posto in cui vivere. Incredibile dove ti portano l’estro e la follia.
Macchion dei Lupi ha disegnato una parabola tutta sua, nell’universo-mondo suveretano. I vini scaturiscono da un pensiero, e da un progetto preciso che punta alla individualità e alla distinzione, nel bene o nel male. Sono vini personali e vibranti, che si muovono su traiettorie loro. Nei bianchi (Ansonica e Vermentino) hai la solarità mediterranea e la forza dell’espressione; la materia si plasma, si diffonde, restituendoti sapore, sapore vero.
Alla base dell’operato vi sono i precetti biodinamici, avallati in cantina da gesti essenziali che hanno preso alcuni punti fermi a riferimento: vendemmie a scalare, per costituire basi acide e basi più mature, movimentazione di grappoli e mosti per caduta, nessuna dinamicizzazione dei mosti (no follature).
Il primigenio polo produttivo di Carlo dimora sulla collina di Calzalunga, dove la concrezione di Monte Bamboli (terre rosse, ciottolame, scisti) caratterizza i suoli della parte alta, un misto di sabbie e lapilli di lava (sì, lapilli di lava) le giaciture più in basso.
Nei bianchi, di impronta calibratamente macerativa, si avverte un’estrazione candida che si risolve in profili sfaccettati e sferzanti, raramente intrappolati nella morsa insidiosa di alcuni cliché che la maceraziona sulle bucce potrebbe riservare loro.
Quest’anno, ad annunciare queste doti, c’è una brillante versione di Ex Temporaneo (2021), Ansonica macerata e affinata in anfora la quale, a fronte di un comparto dei profumi molto articolato, che fonde suggestioni “tardive” con altre decisamente più fresche, presenta un sorso rilassato, di bella densità tattile, che contempla misura e pura gradevolezza, pompando più sale che tannino nel lungo finale.
Mentre a certificarle c’è una straordinaria edizione di Alòs (2022), un Vermentino in purezza il cui timbro macerativo è un “soffio” che accompagna e non disperde profumi e varietale, e dove il carattere è vibrante, la dinamica trascinante, la coda di sapore enormemente salina.
Nei rossi invece hai morigerati temperamenti alcolici, scioltezza e spontaneità. E’ il caso di Psyché 2022, blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot di bella impronta naturale, agile e pimpante nei movimenti, nitido e gradevolissimo nella sostanza, che rimanda ai frutti neri del bosco, alla pirite, alle spezie e alle radici.
Il futuro nel frattempo ha aperto un’altra porta: 5 ettari a vermentino nei pressi del golfo di Baratti, a 800 metri di distanza dal mar Tirreno, che probabilmente, stanti i vincoli logistici e infastrutturali dell’azienda, non si tradurranno in un aumento significativo di imbottigliato, quantomeno in un primo momento, ma che potranno sicuramente fornire ulteriori stimoli in termini di potenzialità & possibilità. Per dire, ho assaggiato in anteprima Alòs 2023, le cui uve provengono già da lì: è un vino che respira, ed io con lui.
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Giornalista pubblicista toscano innamoratosi di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione ad azione culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di direttore responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente regionale della guida Slow Wine per la Toscana.