Quaderni montalcinesi/1. Biondi Santi, Le Chiuse

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BIONDI SANTI

Biondi Santi è un sacco di cose, e la storia da qui non ci è passata per niente, o per caso. Come un mare quando si ritira, ha lasciato segni indelebili del suo passaggio. Tutto acquista una speciale patina evocativa, ché se l’evocazione avesse forma, a questo luogo gli apparterrebbe.
O forse sono solo io a sentirmi sottomesso (finanche inadeguato, chissà), anche se non l’ho dato a vedere e sono stato bravo.

Biondi Santi sono anche le persone: tangibili, reali, pensanti, ed è bello vedere come i pensieri attuali ben si accordino -con il rispetto che si deve- a un pregresso glorioso. Ma ve n’è una che aleggia in ogni stanza e in ogni filare: Franco Biondi Santi, che in fondo abita sempre qui.

Lui in cantina ci viveva e la sua scrivania non la trovi chissadove, la trovi proprio lì, in un angolo: spoglia, essenziale, e per questo struggente, con il cappello per l’estate sopra il tavolo, la mitica giacchettina sulla spalliera della sedia. La grandezza di un ricordo racchiusa nelle intimità di una cosa piccola.

Nel frattempo, la splendida villa seicentesca è un’opera d’arte che sembra voler ritornare bosco per fondersi con la natura attorno, i vini invece si offrono con ferma nobiltà espressiva: non una sbavatura, solo sostanza che scava e scava, creando continui rimbombi.
Sono archetipi, ma forse anche di più. E se il Brunello Riserva 2013 è men che meno monumentale, la voglia di vivere di un vecchio Brunello Riserva ’83 ti rende la misura esatta del tempo e della sua grandezza.

Ho anche assaggiato in anteprima il primo testimonial della nuova gestione (l’azienda è stata acquistata nel 2017 dal gruppo imprenditoriale francese della famiglia Descours), ossia il Rosso di Montalcino 2018, trovandolo soffuso, disinvolto, persino delicato, dai tannini super calibratamente estratti, e poi ho pure pensato che il viale, il mitico viale dei cipressi che conduce al Greppo, altri non sia se non l’appendice fra un fuori e un dentro, il cordone ombelicale da cui tutto sembra prendere respiro.
E quel respiro arriva fino a te.

Contributi fotografici dell’autore
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LE CHIUSE

Incastonata fra Montosoli e il Canalicchio, Le Chiuse è un gioiello identitario che abbraccia un luogo per poi coinvolgere i vini e le persone

Simonetta Valiani, Niccolò Magnelli e il figlio Lorenzo sono simpatici a pelle. Ancor di più se li conosci. C’è un’umiltà di fondo, nei gesti e nei modi, e una passione talmente sana di comunicare un affetto (quello verso la propria terra) da non trovare confini.

E’ bello parlare con persone così.

Qui è dove il Brunello di Montalcino assume il passo del maratoneta, di quelli che implacabilmente ti condiscono alla distanza lasciandoti indietro a boccheggiare per arrivare trionfanti al traguardo. ll prezioso scrigno sapido-minerale contenuto in quella gabbia tannica dal timbro baritonale chiama austerità, se colto in prima gioventù, per poi schiudersi col tempo lanciando l’abbrivio a un corredo aromatico di eleganza a tratti infinita.

Quando invece hai nel bicchiere il Rosso di Montalcino, lì per lì potresti anche pensare che no, che si sono sbagliati, perché lì dentro mica c’é sangiovese, c’è pinot nero!

Infine lui, piccolo vino-aliante: Arpaia il suo nome. Le uve sangiovese provengono da un minuto appezzamento alla Pulléra, dirimpetto alla tenuta del Greppo di Biondi Santi, ad oltre 400 metri di altitudine, lì dove Simonetta e Niccolò hanno deciso di andare a vivere. Pensato per dare una forma gioiosa all’atto del bere, se ne esce disinvolto e leggero come una amicizia durevole.

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