Quando si accenna ai vini statunitensi si pensa subito alla California e magari alcuni storceranno un po’ il naso, convinti della supremazia europea in ambito enologico. In questo articolo non tracceremo però un quadro generico del panorama vinicolo americano, ma faremo la conoscenza di una realtà particolare, quella di Promontory. David Cilli è un talento emergente, potremmo dire made in Italy, che è attualmente a capo del progetto enologico di questa azienda californiana tutta da scoprire. David Cilli sarà anche il nostro Cicerone durante il viaggio virtuale Oltreoceano.
Quali strade ed eventi abbiano portato un toscano di Buonconvento a lavorare presso un’azienda americana?
David Cilli: “Prima di Promontory ho iniziato la mia attività lavorativa facendo le prime vendemmie presso la Tenuta Caparzo. Poi ho collaborato per qualche anno con l’enologo Roberto Cipresso. Poi decisi di trascorrere un po’ di tempo in Francia tra Borgogna e Champagne, per poi proseguire con una bella esperienza a Mendoza nel 2012. E fu proprio lì che venni messo in contatto con l’enologo della famiglia Harlan, che sarebbe venuto in Italia tra Piemonte e Toscana. Da questo incontro, poi, tutto sarebbe iniziato…
Promontory è un progetto nato nel 2008 e ancora oggi in divenire. Considerato come l’avventura della seconda generazione della famiglia Harlan, ha un’identità distinta e ancora tanto da esprimere, data la sua recente nascita.”
Per la famiglia Harlan la terra di conquista su cui coltivare le viti fu Napa Valley, mentre per la generazione attuale la sfida è Promontory. Quest’ultimo è un piccolo microcosmo all’interno di Napa Valley.
Ci descriverebbe esattamente il territorio di Promontory?
“Promontory è composto da due ripide creste collinari parallele nella parte Est e Ovest che quasi circondano una valle con orientamento Nord-Sud. La proprietà è attraversata da due faglie tettoniche che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’origine geologica dei suoi terreni straordinariamente eterogenei, suddivisi a loro volta in sedimentari, vulcanici e metamorfici. In particolar modo, quest’ultimo è quello più influente sul carattere del nostro vino, in quanto qui sono stati piantati la maggior parte dei nostri vigneti e anche molto raro da trovare in altre zone della valle. La proprietà ha una superficie di 340 ettari ma solo poco meno del 10% è vitata, il resto è occupato principalmente da una fitta foresta, che insieme alla conformazione topografica partecipa alla formazione di un clima leggermente più fresco della media generale della valle.”
Promontory ha anche una propria concezione della vita della pianta, vero?
“Esatto. Nei primi anni di vita della pianta si pensa più a quest’ultima rispetto all’uva. La filosofia di Promontory è quella di “educare” la vite a regolarsi in autonomia e il nostro intervento è ridotto al minimo. Non irrighiamo, seguendo una filosofia di dry farming, non usiamo fertilizzanti e cerchiamo di limitare al minimo i trattamenti antiparassitari.”
Potrebbe spiegarci meglio come sia possibile non irrigare il vigneto se non piove per nulla in estate?
“In alcuni casi già dopo i primi 3 o 4 anni di vita della pianta possiamo cessare di irrigare, in altri dobbiamo attendere 6 o 7 anni. Le tempistiche dipendono ovviamente dal suolo. Siamo convinti che se la pianta si autoregolamenta, la qualità sarà migliore così come la maturazione fenolica sarà più in linea con gli altri parametri analitici dell’uva. Soprattutto – e questa per me è la sfida più grande in questo territorio – l’acidità sarà più elevata. Per far sì che il terreno mantenga le risorse idriche per la stagione calda lasciamo che l’inerbimento crei uno strato isolante/ombreggiante, riducendo così la temperatura del terreno e quindi la perdita di umidità. La nostra sfida è quella di trattenere più umidità possibile dalle piogge che cadono fra novembre ed aprile.”
Napa Valley è anche una zona “difficile” fra rischio sismico ed incendi….
“Il grande problema negli ultimi anni sono gli incendi, purtroppo. Se prima si verificavano singoli episodi di grande intensità, ora ci sono focolai sempre più frequenti dati dai venti che soffiano da Nord con raffiche che arrivano anche a 180 km/h. Nel 2017 abbiamo avuto il primo grande incendio e da allora la proprietà sta investendo nella pulizia del sottobosco. Pulire i boschi che circondano i vigneti e gli edifici dovrebbe aiutarci a mitigare l’intensità’ delle fiamme. Come detto, infatti solo il 10 % della superficie è vitata, per il resto è ricoperta da foreste che svolgono però anche una funzione importante: catturano l’umidità durante gli eventi nebbiosi, che è essenziale per le viti.”
Veniamo quindi al vino….
“Promontory produce Cabernet e un nuovo blend che è disponibile solo in cantina. Attualmente stiamo vendendo l’annata 2018 e per me è l’annata che meglio interpreta il carattere della nostra proprietà fino ad oggi. Logicamente stiamo producendo vino da poco meno di 15 anni a Promontory, e siamo ancora agli inizi con ancora tanto da imparare.”
Promontory produce vini di alta gamma che superano le 800 €. Qual è il compratore tipo?
“Il prezzo è in funzione della domanda. La nostra produzione consta di circa 30000 bottiglie, delle quali una percentuale importante è già allocata o venduta direttamente in cantina, la restante parte invece viene distribuita in più di 40 stati. Logicamente gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato, seguiti poi da Nord Europa, Giappone e Svizzera.
Ci parlava della collezione di bottiglie che rimane in cantina. Si fanno visite e degustazioni come in Italia?
“Esattamente, su prenotazione. Si tratta di una visita di un’ora e mezza in cantina dove i visitatori hanno la possibilità di conoscere meglio la nostra storia, la nostra filosofia e di assaggiare i vini in botte ed altri con già qualche anno di bottiglia.
Come è stato accolto negli Stati Uniti in qualità di enologo italiano?
“In Italia, di solito, devi avere già un nome per entrare a far parte di un’azienda rinomata, qui negli Stati Uniti, invece, ti danno fiducia e l’opportunità. Devi poi però dimostrare di essere capace, altrimenti non esitano a ricollocarti, ovviamente. Una differenza sostanziale è il rapporto con i superiori. In Italia c’è sempre un forte potere direttivo di un supervisore, qui, invece, c’è maggiore autonomia decisionale. Chi svolge una mansione deve trovare soluzioni e gestire il proprio ambito di attività.”
C’è una differenza anche per quanto riguarda la figura dell’enologo?
“Sì, direi che qui l’enologo ha competenze, o meglio, compiti più ampi che in Italia. Questo è in sostanza dovuto alla centralità del vino, quindi l’enologo si deve allineare con l’agronomo, ma è anche il responsabile della cantina, della vigna e anche il volto dell’azienda con i clienti. Ad esempio, in queste settimane sarò in Asia ed Europa a presentare la nostra annata 2018. L’enologo è la figura di continuità dell’azienda e della famiglia.”
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Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato.
Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta.
Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.