Uno stupido timoraccio personale

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Nel suo valido trattato Grammatica Veneta (Zielo, 1991), lo studioso Silvano Belloni specifica come in veneto il suffisso –asso comporti un dispregiativo dell’aggettivo originario, e propone i seguenti esempi:

corteasso (coltellaccio), cagnasso (gran cane cattivo), tenpasso (brutto tempo), bocassa (boccaccia), bestiassa (bestiaccia), letarassa (letteraccia), figurassa (figuraccia)

Per quei percorsi bizzarri, gratuiti e inesplicabili della mente, percepisco da sempre il nome del vino Timorasso in quella accezione. Ho un certo brutto timore, un timoraccio a berlo: mi dicevo “è di solito molto alcolico”, “è di solito impegnativo nel tessuto a centro bocca”, eccetera.
E difatti non ne bevevo uno – stupidamente – da anni. Dice che c’entra, con questo bianco siamo in Piemonte e non in Veneto. Vero.

Però le associazioni di idee irrazionali agiscono potentemente sulle proprie percezioni, è dimostrato. Non ci si può fare nulla. Chambolle-Musigny ha un suono melodioso, ti riempie di velluto l’attesa del sorso; Schorndorfer Trollinger Trocken, al contrario, agisce come una carta abrasiva acustica, e non c’è niente da fare: non ti dispone al meglio per sorseggiare con piacere.

Timorasso a me non “suona”. O meglio, non suonava. Fino a l’altroieri. L’altroieri ho stappato un Timorasso Derthona 2022 de La Colombera e il quadro percettivo si è rovesciato. Un bianco così limpido, nitido, micrometricamente sottile e ritmato, longilineo, saporito, stilizzato, e altri altri altri aggettivi elogiativi, non lo provavo da tempo.

Ari-dice (il commentatore acidulo): ammazza che professionalità, è uno dei bianchi più apprezzati d’Italia, e ci hai messo un ventennio ad afferrarne le qualità.
Ha ragione il commentatore acidulo. Ammazza che preparazione professionale. E ammazza che riflessi, commento io in romanesco.

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