Lo scorso 9 maggio, presso la stupenda Vila Vipolže ubicata nel cuore del Collio sloveno, a Brda, ho presenziato ad un incontro incentrato sul tema: “comprendere il vino a partire dall’analisi agronomica del terroir”. L’evento è stato organizzato da Marjan Simčič Domaine, tra le realtà vitivinicole storiche del territorio sopracitato (datata 1860), e la società Perleuve, nata nel 2012 per volontà di Giovanni Bigot: agronomo, ricercatore e consulente di svariate cantine nazionali ed estere. Il tema principale è il cosiddetto Indice Bigot, che nelle diverse fasi dell’anno registra e monitora i dati relativi alle condizioni fisiologiche dei singoli vigneti. L’esempio pioneristico, per così dire, ha coinvolto Marjan Simčič – titolare della cantina omonimia – che da anni crede fortemente nel progetto. L’ha dimostrato ampiamente non soltanto con il consueto entusiasmo che l’ha reso noto – chi conosce il nostro protagonista sa di che parlo – ma con un tour all’insegna dei vigneti storici di famiglia. Alludo alle vecchie vigne più vocate, i cinque cru storici: Ronc Zegla, Trobno, Jordano, Medana Jama e Medana Breg, allocati in Brda/Slovenia e Collio/Italia.
In cosa consiste dunque questo Indice Bigot, frutto di oltre vent’anni di ricerche dell’agronomo da cui prende il nome? Semplificando, soprattutto per coloro che non sono particolarmente avvezzi ad approfondire il lato esclusivamente scientifico della materia, si tratta in sostanza di creare una sorta di archivio storico che nel tempo consente di approfondire la conoscenza dei terroir e formulare, in base alle necessità di ciascuna annata, le migliori scelte nella gestione agronomica.
Lascio la parola all’agronomo Giovanni Bigot, con il quale ho avuto il piacere di scambiare ben più di due chiacchiere durante la piacevole giornata passata assieme — nello specifico, l’Indice Bigot, è un metodo di valutazione scientifico del potenziale qualitativo di un vigneto. L’Indice prende in considerazione i nove fattori viticoli che hanno un’influenza diretta sulla qualità del vino: produzione, chioma, rapporto tra foglie e produzione, sanità delle uve, tipo di grappolo, stress idrico, vigore, biodiversità e microrganismi, età del vigneto.
Oltre alla programmazione agronomica, le potenzialità di impiego dell’Indice riguardano anche l’aspetto di descrizione del vino. — Stiamo inaugurando una nuova strada — continua l’agronomo— un altro modo di degustare i vini più legato al suolo e al territorio, alla conoscenza di ogni singola vigna. Grazie all’Indice Bigot è possibile spiegare scientificamente la correlazione tra determinate caratteristiche del vigneto, frutto di specifiche pratiche agronomiche, e i tratti peculiari del vino nel calice. Questo approccio ci permetterà di produrre grandi vini, di scoprire e di riscoprire i terroir, in altre parole di valorizzare ciò che a volte è lì, di fronte ai nostri occhi, ma non riusciamo a comprendere perché ci manca la giusta lente. —
Con Marjan Simčič, quest’ultimo rappresenta la quinta generazione della storica famiglia di vignaioli in Brda, Giovanni ha instaurato sin dal principio un rapporto di grande fiducia che ben presto è diventata stima reciproca. Qualunque idea, variabile o considerazione viene sempre analizzata e discussa con il massimo della dedizione, del rispetto. Il cosiddetto “lato scientifico” necessita pur sempre del supporto storico, culturale e sociale delle tradizioni del luogo, e viceversa; centrare questo particolare equilibrio equivale a vincere la partita secondo Giovanni e Marjan. Lascio la parola a quest’ultimo — “Abbiamo il controllo sulla produzione perché gestiamo puntualmente i fattori che sappiamo determinarne la qualità. Ciò è possibile grazie a una conoscenza capillare del nostro territorio e a specifiche parcellizzazioni che negli ultimi anni abbiamo aggiornato costantemente, grazie anche all’Indice Bigot, metodo intrinsecamente dinamico di lettura e interpretazione del terroir. In questo modo fronteggiamo, secondo un approccio scientifico e strutturato, le sfide tipiche del nostro mestiere: dalle scelte di vendemmia a quelle legate al cambiamento climatico, puntando a elevare di anno in anno il livello qualitativo dei nostri vini. —
La famiglia Simčič, negli ultimi decenni, ha contribuito notevolmente a plasmare l’identità vitivinicola del Collio sloveno. Un territorio di confine estremamente vocato e ricco di biodiversità, quest’ultima è possibile ammirarla semplicemente passeggiando ad esempio tra i vigneti di Brda. Un crogiuolo di colture che oltre alla vite, è composto da una folta vegetazione, ulivi, frutteti e piante di ogni genere. Del resto la Slovenia è una nazione davvero ricca in tal senso, basti pensare che è ricoperta da boschi in percentuale pari al 60%, più di un terzo del suo territorio contiene aree protette e si contano 22.000 specie animali e vegetali; i corsi d’acqua percorrono oltre 27.000 km. e la ciliegina sulla torta è rappresentata da 13.000 grotte carsiche che ogni anno attirano migliaia di turisti.
Nel 1860 Anton Simčič, il pioniere dell’attuale cantina di Brda, acquista una fattoria a Medana e inizia ad allevare la vite e a produrre vino. Marjan ha assunto la gestione del Domaine nel 1988. La sua visione d’insieme è una sorta di contenitore custodito con cura, riempito di volta in volta attraverso nuovi elementi in grado di fare la differenza.Ne cito soltanto alcuni: cura del vigneto, grande pulizia in cantina a 360°— alludo sia alla purezza dei mosti che agli ambienti interni, vasche e botti — viticoltura biologica implementata da pratiche biodinamiche, rispettosa, precisa e identitaria. Il nostro protagonista è riuscito ad alzare notevolmente l’asticella, in termini di qualità a 360°, e ha collocare l’area vitivinicola di Brda sulla mappa vinicola internazionale. Oggi l’azienda possiede 14 ettari di vigneti sul lato sloveno e 10 ettari sul fronte italiano.
Per comprendere l’importanza storica di questo piccolo fazzoletto di terra slovena, basti pensare che già all’epoca l’Imperatore Giuseppe II colloca i vigneti principali dell’attuale domaine, in posizioni di vertice per la coltivazione della vite. Tutto ciò non basta a Marjan Simčič. Il nostro protagonista studia per anni con precisione ogni singolo sito viticolo, scavando talvolta fino a 10 metri nel terreno, valutando in tal modo le condizioni microclimatiche e studiando i record storici delle vendemmie passate. Un lavoro e un tipo di studio certosino che mira a identificare vigneti con caratteristiche realmente favorevoli, confermando di fatto il loro status di cru. L’elemento determinante è l’Opoka, in italiano ponca, ovvero un particolare terreno composto principalmente da flysch eocenico, a cui Marjan dedica una linea di vini — nata nel 2008 — che più avanti vedremo.
Abbiamo passeggiato per circa due ore e mezza tra i vigneti, sgretolato con le nostre mani questo particolare terreno. Un’esperienza affascinante che aiuta a comprendere la profondità dei vini di casa Simčič. L’azienda sin dal principio ha inseguito il valore legato alla sostenibilità, alla qualità delle uve mediante un’attività in vigna che comprende non soltanto i dettami dell’agricoltura biologica ma che include anche l’essenza della biodinamica. La maggior parte del lavoro tra i filari è ancora svolto manualmente da un team di esperti collaboratori. Si producono principalmente vini monovarietali, cercando di estrarre l’essenza dell’uve, le stesse che assorbono la potenza del terreno dei crus aziendali e non solo. Vengono selezionate a mano alla giusta maturità, risultando in rese inferiori alla media. Ritroviamo diverse linee: i Brda Classic, i vini di selezione CRU (realizzati dall’ottimale combinazione di due o tre vigneti vocati), la linea Opoka CRU — che porta la firma di Marjan Simčič — e una edizione limitata del vino dolce Leonardo Passito e Numerals One.
Entriamo dunque nel vivo della degustazione, anche perché la strada da percorrere è piuttosto lunga. Marjan non ha risparmiato “colpi” durante l’intera giornata. Abbiamo avuto la possibilità di assaggiare molte etichette della linea Opoka, ivi comprese annate piuttosto vecchie; a mio avviso quelle che mostrano al 100% il potenziale del territorio del Collio sloveno e il talento del nostro protagonista che — unitamente all’agronomo Giovanni Bigot di Perleuve — ringrazio per l’invito e per i tanti aneddoti condivisi.
Di seguito il mio punto di vista relativo ai vini della masterclass tenutasi presso la stupenda Vila Vipolže. Marjan ha proposto due annate per ogni singolo cru. In coda a questi 12 vini troverete altre etichette degustate durante l’intera giornata.
Sauvignon Blanc Opoka Jordano Cru 2020
Un vino che impegna senza strafare. Il frutto è carnoso, maturo pur tuttavia non privo di slancio. La mineralità è protagonista (pietra focaia e zolfo), restituisce una lunga scia sapida ai limiti del “salato”. Ampio, voluminoso. In divenire.
Sauvignon Blanc Opoka Jordano Cru 2021
Questa volta al naso ritrovo maggior slancio, un timbro arioso che rimanda ai frutti bianchi croccanti, allo zenzero e camomilla. Al palato vi è maggior sinergia, la freschezza domina la scena e la parte sapida è misurata, meno ingombrante. Un vino stupendo.
Sauvignon Vert Opoka Ronc Zegla Cru 2020
Vino “caleidoscopico”, lo si evince sin dal colore: tonalità calda, profonda. Il frutto tropicale addolcisce i toni, ravvivato ben presto da un ricordo di fiori freschi e pepe verde; cioccolato bianco in chiusura. La spezia ritorna anche in bocca unita ad un po’ di vaniglia. Volume, ampiezza e complessità. Ancora giovane.
Sauvignon Vert Opoka Ronc Zegla Cru 2021
Curioso l’accento di paprika che rimane incollato al vino anche a diversi minuti dalla mescita, ancora qualche nota prefermentativa e al palato slancio, vigore, succo; molto più dell’annata precedente. Il “ragazzo” farà strada.
Chardonnay Opoka Jordano Cru 2021
Intrigante il timbro di questo Chardonnay dal ritmo sincopato: da un lato il frutto tropicale maturo, il miele millefiori, dall’altro sensazioni erbacee e vegetali che rinfrescano l’insieme. Timbro esplosivo mediante una sapidità penetrante e un alcol percepito un po’ sopra le righe. Giovanissimo, deve ancora farsi.
Chardonnay Opoka Jordano Cru 2020
Diametralmente opposto al vino precedente — fino ad ora ho sempre preferito l’annata 2021 — qui al contrario vi è maggior eleganza, leggerezza e ariosità di toni fruttati freschi e croccanti, e non solo: mela annurca, maggiorana e tanta pietra polverizzata. Sapido, lungo, acidità scalpitante è soprattutto un buon vino.
Rebula Opoka Medana Jama Cru 2020
Un vino il cui mosto ha subito 16 giorni di macerazione a contatto con le bucce. Oro antico, riflessi ambra, consistente e voluminoso. Intenso d’albicocca matura, cereali tostati e miele agli agrumi; smalto in chiusura. Verticalità gustativa, succo, lieve tannino e soprattutto lunghezza. Lodevole.
Rebula Opoka Medana Jama Cru 2021
Al naso è più o meno la fotocopia del campione precedente, salvo un intrigante ricordo di spezie dolci ed erbe officinali. Ritrovo un vino ancora in fasce, timbro nervoso e sconnesso, alcol ancora da digerire e un centro bocca di tutto rispetto. Necessita di tempo. Annata da seguire attentamente.
Pinot Noir Opoka Breg Cru 2019
Trasparenza invidiabile, tonalità granata a tratti ipnotica. Un bel frutto pieno ed espressivo: amarena matura, ribes nero, cereali tostati e cosmesi; pepe rosa e terriccio bagnato in chiusura. In bocca volume, calore, sapidità e centro bocca di medio spessore; in compenso è un vino lungo e appagante.
Pinot Noir Opoka Breg Cru 2020
L’annata 2020 è ben più leggiadra al naso, il frutto è croccante e la tonalità ariosa, fresca: ciliegia spremuta e lampone, mais tostato, financo pesca noce matura che affiora con lenta ossigenazione. Sorso energico, scattante, vi è un’estrazione minore ma una beva a tratti irresistibile.
Un Merlot che sa di paprika e spezie orientali, cereali tostati — quest’ultima nota è una costante nei rossi di Marjan Simčič — frutti di bosco maturi e cosmesi. Palato di medio spessore, notevole la corrispondenza. Ben più arioso e leggiadro rispetto agli stereotipi legati all’uva in questione, pecca forse in profondità, ma nemmeno tanto. Buono.
Merlot Opoka Trobno Cru 2018
Tra i rossi migliori dell’intera degustazione, mi ha sbalordito soprattutto a livello gustativo. Un vino che riesce a coniugare potenza e vitalità, coerenza e soprattutto equilibrio. Godurioso anche al naso: sfaccettato, cangiante e a tratti ipnotico. Inno al Collio sloveno.
Fuori masterclass
Breve inciso. I vini di Marjan Simčič posseggono carattere e peculiarità insindacabili, sono prodotti che riflettono il terroir d’appartenenza e richiamano egregiamente la buona tavola, soprattutto a pochi mesi dall’imbottigliamento. Trascorsi 4-5 anni dalla vendemmia iniziano, pian piano, a rivelare tutto il loro fascino e ad acquisire un equilibrio ragguardevole che talvolta li rende indimenticabili. Ho avuto modo di riscontrarlo personalmente attraverso le etichette che ora illustrerò.
Mela verde e kiwi, maggiorana. Slanciato, succoso, impronta sapida di tutto rispetto. Da bere a secchiate.
Ginestra, scorza d’arancia e miele millefiori. Rotondità vivacizzata da lampi di freschezza citrina. Dissetante.
Pinot Grigio Cru Selection Ramato 2022
Fragolina di bosco, ribes e paprika. Pienezza gustativa, finale un po’ accomodante. Gastronomico.
Sauvignon Blanc Opoka Jordano Cru 2020
Cardamomo, pepe verde e pietra focaia. Verticalità al palato e un timbro incalzante. Lunghissimo.
Sauvignon Vert Opoka Ronc Zegla Cru 2019
Pompelmo, incenso e mela annurca. Mostra un potenziale notevole, curve sinuose e tanto succo. Godereccio.
Rebula Opoka Medana Jama Cru 2017
Timo limone e smalto, liquirizia e cera d’api. Tra i bianchi più interessanti dell’intera giornata e da un’annata torrida. Bravo Marjan.
Rebula Opoka Medana Jama Cru 2014
Annata magra? neanche per sogno! Una sinfonia al palato tra freschezza e densità di materia, impronta salina perfettamente integrata. Corroborante.
Pinot Noir Opoka Breg Cru 2018
Grafite, ribes maturo, cuoio e pepe nero. Un culturista che danza sulle punte con la grazia di una ballerina di danza classica. Tutto e il contrario di tutto.
Liquirizia, macchia mediterranea, un po’ di salamoia e punte di caramello bruciato. Palato un po’ stanco, purtuttavia ricco di materia e tanta sapidità. Duro a morire.
Le foto sono dell’autore, ad eccezione della panoramica delle bottiglie e di quella successiva, un momento della degustazione, che sono di Marjan Simčič
Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.