Li ho ascoltati fin dai primi passi, i macerati. Ne ho seguito le evoluzioni, ne ho immaginato le possibilità. Mi hanno coinvolto, mi hanno sorpreso, e mi hanno anche fatto arrabbiare.
Non di rado, a parer mio, è mancato un approdo, un approdo di compiutezza che gli facesse scavalcare l’ostacolo del “metodo” per arrendersi alle ragioni del territorio e del vitigno e restarne finalmente coinvolti.
Troppi i vini a metà incagliatisi nel guado di una confusa riconoscibilità, al punto tale da sfiorare la normalizzazione, ciò che nei primigeni intenti si sarebbe voluto rifuggire come la peste.
Eppure una strada c’è e ci dev’essere, per aprirsi ad un respiro tutto nuovo.
Mi è parso di scorgerla, luminosa e maestra, in Matassa Cuvéè Marguerite 2016, lì dove suoli e territorio hanno scansato il metodo fino a ridurlo a un niente, sortendo un effetto liberatorio da urlare ai quattro venti.
Come avvistare una terra dopo tanto navigare.
Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.