Macerarsi sui macerati (post a grappolo intero)

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Li ho ascoltati fin dai primi passi, i macerati. Ne ho seguito le evoluzioni, ne ho immaginato le possibilità. Mi hanno coinvolto, mi hanno sorpreso, e mi hanno anche fatto arrabbiare.

Non di rado, a parer mio, è mancato un approdo, un approdo di compiutezza che gli facesse scavalcare l’ostacolo del “metodo” per arrendersi alle ragioni del territorio e del vitigno e restarne finalmente coinvolti.

Troppi i vini a metà incagliatisi nel guado di una confusa riconoscibilità, al punto tale da sfiorare la normalizzazione, ciò che nei primigeni intenti si sarebbe voluto rifuggire come la peste.

Eppure una strada c’è e ci dev’essere, per aprirsi ad un respiro tutto nuovo.

Mi è parso di scorgerla, luminosa e maestra, in Matassa Cuvéè Marguerite 2016, lì dove suoli e territorio hanno scansato il metodo fino a ridurlo a un niente, sortendo un effetto liberatorio da urlare ai quattro venti.
Come avvistare una terra dopo tanto navigare.

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