Una esperienza diversa: verticale di due birre al Piccolo Birrificio Clandestino

Tempo di lettura: 4 minuti
Pierluigi Chiosi e Simone Cantoni

LIVORNO – Ne è passata di birra nelle spine dal 2010, e nel frattempo il “piccolo” brewpub è cresciuto fino ad affermarsi a livello italiano e oltre frontiera a suon di riconoscimenti e premi. Questa realtà labronica si è adattata nel tempo al percorso intrapreso allargando l’offerta delle proposte e cambiando sede operativa. Nella nuova location di via Cimarosa la serata prevedeva una verticale di due birre ma era d’obbligo fare una “base” per affrontare al meglio la degustazione. Così nell’annessa Tap Room, uno spazio funzionale arredato modernamente in stile industrial, mi sono “sparato” un godurioso hamburger all’Angus seguito dalle immancabili patatine fritte tagliate a mano. La serata è proseguita nel magazzino dove erano stati allestiti i tavoli nel rispetto delle normative di distanziamento…

Tema della degustazione: le birre invecchiate. Un ossimoro, un tema di difficile comprensione per la maggior parte dei consumatori, il cui approccio comune è simile a quello che avviene per i vini bianchi: sono prodotti che vanno bevuti giovani, al massimo entro un anno.

Ma un pubblico attento ed appassionato sa benissimo che certe tipologie di vino bianco invecchiano benissimo e anche dopo un paio di decadi regalano emozioni a iosa. Certo, cambiano le caratteristiche gusto-olfattive, ma è un’evoluzione che spesso arricchisce il quadro d’insieme. Sul versante birra il discorso è simile e l’evoluzione, dopo almeno 5/6 anni, porta in dono caratteristiche piuttosto singolari e comunque differenti dalla birra d’origine.

La maturazione può avvenire seguendo due strade: per contaminazione batterizzante, con lo sviluppo di batteri acetici e il relativo corredo sensoriale, oppure per ossidazione, che porta ad una maderizzazione progressiva degli aromi.

Pierluigi Chiosi, mastro birraio del Piccolo Birrificio Clandestino, ci ha proposto le birre Santa Giulia e Fortezza nuova invecchiate con ossidazione. In compagnia di Simone Cantoni, noto esperto del settore, ci siamo fatti questo breve viaggio brassicolo nel tempo.

La Santa Giulia è una Brown Ale di circa 6 gradi alcolici, della quale se ne tracciano i tratti distintivi nella prima annata degustata, che maturando diventa una Old Ale:

Santa Giulia 2019: il vestito è una tonaca scura dai riflessi mogano, il cappello color beige è fitto e di media persistenza. Al naso il caramello pervade le narici, seguito dalla frutta secca come fico, dattero, nocciola e anacardo; in sottofondo compaiono anche la mela cotta, il miele di castagno, un tocco di liquerizia, un chicco di caffè e un leggero spunto acetico. Non manca una nota di freschezza che richiama la buccia della mela appena matura. Al palato è morbida, incentrata sulle note maltate di caramello, con una fine carbonazione e un finale asciutto.

Santa Giulia 2017: Alla vista appare leggermente più scura mentre al naso iniziano i primi cambiamenti: la frutta secca ruba spazio al caramello al mou, emergono sentori di ciliegia surmatura. In bocca è molto equilibrata, complessa ma allo stesso tempo di facile beva. L’inizio dell’ossidazione la pone al confine evolutivo tra la Brown e la Old Ale.

Santa Giulia 2016: si presenta più chiara delle precedenti per l’impiego del malto acquistato da un produttore diverso. La maturazione produce i suoi effetti: gli aromi di caramello calano d’intensità, la frutta secca predilige il dattero, si fa sentire lo spunto alcolico/maderizzato ed emergono richiami al legno e al tabacco biondo. Al palato la carbonazione è più vivace della precedente, il corpo è più esile e si muove con eleganza e armonia sulle dolcezze maltate. In chiusura si contrappongono degli accenni amarognoli.

Santa Giulia 2015: il cambio di passo è discreto a partire dal colore, decisamente più scuro. Il naso è più chiuso ma si evidenziano il caramello (quasi bruciato), la liquerizia, il legno e la pasta di mandorla. In bocca è vellutata, complice una carbonazione praticamente assente; le dolcezze del caramello e del dattero si sposano ad un’ossidazione interessante, specialmente sul finale. Un connubio affascinante che premia l’attesa degli anni. Chiude molto lunga.

Saliamo di gradazione con la Fortezza Nuova, una Barley Wine di stile inglese, anch’essa una Brown Ale di partenza che affina in acciaio e vetro e raggiunge quasi gli 11 gradi alcolici.

Fortezza Nuova 2020: alla vista è ambrata trasparente dai riflessi rossastri, il cappello bianco-crema di medio spessore svanisce abbastanza velocemente. Al naso sempre le note di frutta secca e disidratata, l’immancabile caramello e pasta frolla. In bocca l’impatto alcolico si fa sentire, la carbonazione presente, mediamente corposa ma intensa negli aromi. Il finale è un’alternanza tra le note dolci del caramello e la parte amara.

Fortezza Nuova 2019: dai riflessi rossastri vividi rivela aromi più contenuti, un tono più austero dove emergono note di legno. Di tutt’altro approccio in bocca, dove i sentori sono piuttosto intensi; è rotonda con una carbonazione finissima, quasi cremosa, e l’alcol ben integrato. Chiude lunga sulle note dolci.

Fortezza Nuova 2018: l’ossidazione inizia a farsi sentire, oltre il solito caramello sono ben delineate la frutta secca e disidratata, più delicati gli aromi di tabacco e miele di castagno. Bocca corrispondente e più calda, sul finale un sentore più fresco di liquerizia nera.

Fortezza Nuova 2014: primo anno di produzione! Se le prime tre sono apparse abbastanza simili, lo stacco di quattro anni è notevole a partire dal colore, molto più scuro, che ricorda la coca-cola. Al naso poi si entra in un altro mondo, più vicino al vino che alla birra, anzi, più vicino ai passiti. Ricordi di marmellata di fichi e mora mi fanno pensare a un Pedro Ximenez. Al palato è molto particolare, meno dolce che al naso ma sempre piuttosto prodiga di sentori, si percepiscono addirittura spunti di funghi secchi e una netta nota balsamica come di nepitella. La consistenza è discreta ma fluida. Equilibrata ed armonica, finisce lunghissima.

Confesso che sono state le mie prime verticali di birra e le ho trovate molto interessanti, soprattutto per le nette variazioni dopo qualche anno di maturazione. Peccato non averne avute a disposizione di più vecchie!

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