Parlando dell’enomondo la storia ci consegna un fatto assai frequente: che cioè in un distretto vitivinicolo gli stimoli al cambiamento arrivino sovente da gente forestiera, ossia venuta da fuori. Alla base di questo asserto potrebbero starci diverse concause: una visione più ampia e a tutto tondo, un legame affettivo meno claustrofobico rispetto agli ingabbiamenti delle tradizioni (che non di rado si traducono in incrostazioni). Forse, più semplicemente, una connaturata attitudine alla scommessa e allo scarto in avanti. Fatto sta che anche San Gimignano ha potuto contare sui suoi bravi traghettatori per scrollarsi da dosso una nomea che non coincideva ormai più con il concetto di qualità.
Fra questi ultimi il nome di Giovanni (Gianni) Panizzi risplende a piena luce. La sua idea di Vernaccia, con la “dolce ossessione” della longevità e la puntuale ricerca della raffinatezza, così come l’intuizione che da un territorio del genere sarebbe stato possibile ricavarvi qualcosa di realmente identitario senza soffrire di alcun timore reverenziale nei confronti dei grandi bianchi italiani, sono alcuni dei capisaldi fattuali e ideali su cui Panizzi ci ha edificato sopra la propria fama, trasformando una piccola impresa artigianale nata quasi per gioco negli anni Ottanta del secolo scorso in una fiorente realtà bene in vista del vino d’autore toscano. E lo ha fatto scuotendo dal torpore gli impulsi più passatisti che serpeggiavano fra i produttori di San Gimignano, suscitando tanto i mugugni quanto le approvazioni.
Gianni Panizzi era un uomo affabile, simpaticissimo, cordiale, empatico. La sua passione non la tratteneva, e di quella sapeva renderti partecipe senza sforzo. Fu lui che risintonizzò le mie antenne su un territorio che fino ad allora avevo colpevolmente sottostimato. E lo fece coi fatti, non con le parole.
Quella passione d’altronde non poteva che partorire autenticità, anche se in forma stilistica aggiornata. Così è stato per la sua Vernaccia di San Gimignano Riserva, l’ideale spartiacque fra un prima e un dopo; un vino bianco affinato in barrique con la foggia di un Borgogna che si attirò strali di critiche da parte di chi vedeva snaturata l’espressività del tipico vino-vitigno toscano, così come il plauso della critica enologica imperante che negli anni Novanta lo impalmò fra i migliori vini d’Italia, identificandovi un nuovo faro espressivo all’interno di una denominazione che mai aveva avuto l’onore di tali riconoscimenti prima di allora, nonostante la lunghissima storia produttiva alle spalle.
Consapevolezza tecnica, ricerca della pulizia (senza ricorrere alla chirurgia estetica), nitidezza, eleganza, saldezza, esaltazione del potenziale di longevità: tutti tasselli di una visione che ha preso corpo a partire dalla vigna su su fino ai gesti e ai modi dell’enologia.
Gianni Panizzi ci ha lasciati anzitempo nel 2010, non prima di aver progettato il futuro della propria azienda, ceduta qualche anno prima alla famiglia Niccolai e oggi saldamente in mano a Simone Niccolai, che ha ampliato il parco vigneti (arrivati oggi alla importante dimensione di 50 ettari, di cui oltre 20 coltivati a vernaccia), ammodernato infrastrutture e cantina, rafforzato il valore del marchio sui mercati del mondo. Un team affiatato, capitanato dall’enologo-agronomo Walter Sovran, sta lavorando nel pieno rispetto di un mandato finanche affettivo per coniugare in modo virtuoso perizia tecnica, carattere e identità, ciò a cui Gianni aveva sempre aspirato.
La preziosa doppia verticale di oggi ne certifica la liceità.
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VERTICALE DI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA
Il suo nome è il suo luogo. E il suo luogo, situato fra Signano e Montenidoli, possiamo ben annoverarlo fra gli elettivi di San Gimignano: altitudini adeguate (attorno ai 300 metri), suoli tufacei, e poi quei cinque ettari di vigna consacrati alla vernaccia, di cui quattro risalenti agli anni Settanta. E’ il luogo da cui tutto ebbe origine, dove il “foresto” Gianni Panizzi iniziò a produrre vino a partire da un paio di ettarucci di vigna nel 1979; dapprima per gli amici, poi per il resto del mondo.
Nel 2003 nasce a Santa Margherita un’etichetta paradigmatica, in grado di conciliare una accurata confezione tecnica, rintracciabile nella precisione esecutiva e in una nitidezza d’accenti senza increspature, con un carattere profondamente minerale e un profilo fresco dall’ascendente nordico, instradato da una dote di eleganza non così facilmente rintracciabile nei vini della zona. La massa per metà staziona e affina in acciaio, per un’altra metà in barrique di secondo passaggio; segue un anno di maturazione in bottiglia.
La cosa sorprendente, se stiamo alla verticale di oggi, che assomma le ultime sette annate in commercio, sta nella “intercambiabilità”. Ovvero, sembrano tutte giovani allo stesso modo; il tempo non ne ha scalfito la linfa vitale e il virgulto. Ti sembra sempre e comunque di essere in compagnia di vini còlti nel fiore della gioventù. E anche questo, a ben vedere, è Vernaccia.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2019
Paesaggio aromatico finissimo e arioso di erbe selvatiche, piccole infiorescenze, frutti a polpa bianca, anice stellato e resina boschiva; tratto gustativo fresco e affusolato, acidità in resta a ripulire. Nitore, bilanciamento, giuste proporzioni e una misurata cremosità tattile fanno da spalto a un vino espressivamente composto ed elegante.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2018
Ampio e avvolgente piuttosto che slanciato, rilascia una connaturata frazione di dolcezza secondo un incedere largo che fa comunque lampeggiare una intrigante luce minerale. Piacevole e garbato, la sensazione burrosa fa da scorta ai tipici sentori di erbe aromatiche e a quelli, ancor più profondi e sottocutanei, di idrocarburi.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2017
Naso silente timidamente punteggiato da note di erbe e radici, resine e elicriso. Sviluppo denso e cremoso di buona complessità, forse non corroborato dal dinamismo che attiene alle grandi annate. La leggibile traccia mineral-iodata-salina ne certifica il carattere.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2016
Di delicata rarefazione aromatica, in apparenza disadorno ma in realtà tutto giocato in filigrana, è un vino teso, finissimo e splendidamente essenziale. A volergli fare le pulci potrebbe sembrare che in questa fase evolutiva stia scontando un pizzico di austerità e di rigidezza di trama, ma senti che ha la vita davanti a sé. Con il suo profilo nordico assume un portamento che si impiglia volentieri nei ricordi migliori, e il sale che se ne esce da lì sottende razza pura.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2015
Uno Chablis a San Gimignano. Erbe, fieno, frutta secca, torba, mentuccia e fiore di tiglio tratteggiano un quadro aromatico nobile, complesso, aperto ai dettagli più sottili e perfettamente accordato in ogni sua voce. La bocca, in piena corrispondenza, ti apparirà elegantemente risolta, ampia, fresca e diffusiva. Davvero un ottimo conseguimento.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2014
Profumi introspettivi eppur vitali. L’aria e l’ossigeno portano in emersione il fieno (nota sentimentale per antonomasia), la mandorla, le erbe, la menta secondo un registro di lieve intensità ma sicuramente intrigante. In bocca sciorina una bella droiture; è saporito, bilanciato, elegante, percorso da tenui accenti lattico-burrosi e da più decise accensioni citrine.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO VIGNA SANTA MARGHERITA 2013
Sostanzioso, tipico, terragno, l’impasto dei sapori richiama alla mente una Vernaccia old fashioned ma senza derive rustiche. La fibrosità tattile annuncia semmai tenacità e fermezza, senza che vengano mai meno il controllo della forma e la giustezza nei toni. L’intrico dei profumi, fra frutta secca, torba e balsami, fa da viatico a uno sviluppo saporito, concreto, senza svolazzi.
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VERTICALE DI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA
L’arco temporale abbracciato da questa verticale contempla due importanti cambiamenti, entrambi a far data 2013: la nuova “mano” enologica (quella di Walter Sovran) e la vigna piantata nel 2006 nella parte alta di Larniano, due ettari in moderato declivio nel lieu-dit Vigna delle Rose, su suoli tufacei a 400 metri di altitudine, che da lì in poi costituirà l’esclusiva base ampelografica per questa etichetta. Prima di allora le uve provenivano dalla vigna di Cotone: integralmente fino alla vendemmia 2011, parzialmente per quanto riguarda la 2012, annata di transizione.
Dal punto di vista stilistico/espressivo, a fronte di un affinamento rimasto fedele all’élevage in barrique di primo passaggio adottato fin dagli esordi, emergono una maggiore tensione gustativa e una maggiore freschezza acida, a rendere i sorsi più profilati e longilinei rispetto a certe formose, gliceriche versioni di un passato meno recente, e questo a tutto vantaggio della godibilità, dell’equilibrio e della capacità di dettaglio. Una cifra espressiva meno mediata dal metodo, più sensibile agli stimoli di una annata o di un andamento stagionale e quindi, in definitiva, più sincera nel trasmetterne le vibrazioni migliori.
In certe edizioni poi ne apprezzerai per intero l’ineludibile statura autorale, ciò che si esalta in un carattere forte da Vernaccia corrisposto da un disegno tratteggiato con signorilità in cui cremosità, saldezza, potenziale di longevità e contenuti minerali/salini sono gli architravi su cui poggiano le sorti espressive di una etichetta che da sola fa il territorio.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2017
Profumi nitidi e armoniosi su note di foglia di tè, minerale, fumé e nocciola. Contributo del legno integratissimo, sviluppo cremoso anche se leggermente rugoso, ottima quadratura del cerchio nonostante le insidie dovute all’annata calda e siccitosa. Non lunghissimo.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2016
Nella cifra stilistica ricorda un Borgogna, un raffinato Borgogna. Complessità di fiori, spezie e toni affumicati in un quadro composto, signorile, saldo, fiero. La latente austerità ne amplifica le aspettative, la persistenza non molla e lui guarda al futuro.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2015
Bella pienezza aromatica, lì dove il timbro floreale e le nuance agrumate aprono decisamente all’eleganza; bocca ampia adeguatamente densa, dai risvolti minerali e dal finale dispiegato. Con l’aria emerge invero una quota aromatica più dolce, e il tratto progressivamente si assesta su un registro più caldo e mediterraneo rispetto al profilo nordico e impettito di un 2016.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2014
Elettrico, vibrante, puro, in filigrana, innervato da una ficcante lama acida, la sua trama è affusolata e il suo finale pervasivo. Il profilo longilineo e il fraseggio sottile richiamano alle mente altre latitudini, ma in realtà, se ci pensi bene, è solo una Vernaccia di San Gimignano quintessenziale còlta in una fase evolutiva di struggente interiorità.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2013
Il più inafferrabile dell’intera batteria. Lento e introverso, pur innervato di acidità non possiede nella articolazione la sua arma migliore, quantomeno oggi, quantomeno qui. Appare piuttosto contratto, rigido, altezzoso. Insomma, un tipo ombroso che spinge e sbuffa, con i suoi chiaroscuro da illimpidire ma di cui ti rincuorano i contrasti.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2012
Straordinaria vitalità scandita da toni ariosi, dal timbro minerale e agrumato (pompelmo) e da una dimensione gustativa ampia, complessa e oltremodo succosa, stimolata da una forza acida vibrante, da una pregevole complessità d’insieme e da un allungo perentorio. Ah, le sue uve, in questo anno di transizione, provengono da Cotone e Larniano.
VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA 2011
Ricco ma con garbo, emerge un apprezzabile spessore gustativo scortato da note di resine boschive, erbe e dolcezze assortite legate alla evoluzione, all’annata e ai legni, a rendergli il tratto accomodante, rilassato e confortevole, senza la reattività dei grandi millesimi. Uve provenienti da Cotone.
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Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.