Sarà un caso, e un caso non lo è, ma da qualche stagione i vini di Franco Pacenti hanno acquisito un respiro nuovo, lasciandosi alle spalle alcune incertezze sul piano aromatico/evolutivo per collimare in un modo più brillantemente compiuto con la propria terra, che di nome fa Canalicchio.
E’ il giovane Lorenzo Pacenti, figlio di Franco, a gestire i processi e la cantina. Lo fa da pochi anni e lo fa con spirito rispettoso ma attualizzato, uno spirito certamente attento al dettaglio, al fine di traguardare nuovi obiettivi e nuovi equilibri. Ad aiutarlo c’è uno staff di collaboratori – enologo (Roberto Da Frassini) ed agronomo (Donato Bagnulo) – rinnovato pur esso di recente.
La piccola rivoluzione ha intanto coinvolto i vigneti, per agevolare una viticoltura preventiva (e non emergenziale) attraverso un percorso di riequilibratura dei suoli sfruttando l’apporto di tecnologie all’avanguardia (peraltro condivise con le altre aziende del versante) per consentire interventi più mirati e una minore dispersione delle risorse.
Infine, una più accurata parcellizzazione che procede poi con coerenza in cantina, dove si punta a una maggiore estrazione nelle prime fasi della vinificazione che non nelle fasi successive, e dove la razionalità dell’acciaio e il lavorio delle botti grandi assicurano precisione esecutiva e un afflato tradizionale dal punto di vista stilistico. Cumsustanziale appare dunque l’approdo ai precetti della agricoltura biologica, certificabile a partire dal 2024.
Non è un caso quindi se il Rosso di Montalcino 2019 si staglia fra i più grandi Rosso di Montalcino in circolazione (di più, è un gran Sangiovese tout court), ed è grazie alla luce tracciante di questo vino se dopo tanto tempo sono tornato qui.
La nuova annata (2020) ribadisce gli asserti, e lo fa in un contesto di concretezza e seduzione, mentre il Brunello di Montalcino 2018 mostra il suo bel disegno senza più impuntature, sciorinando una profondità aromatica di per sè bastevole a sintonizzarti istintivamente all’ascolto.
Poi c’è Franco, Franco Pacenti, e Franco non lo dimentichi, perché sono la bonomia, il buon senso e l’umiltà fatte persona. Gran lavoratore, l’ho visto proprio felice.
Forse perché sta ripensando con soddisfazione al percorso fatto fin qui, passo passo, da ex allevatori di bestiame a talentuosi vinificatori, o al fatto che i suoi figli Lorenzo, Lisa e Serena sono e saranno i degni continuatori della specie. Fatto sta che, grazie all’apporto delle nuove generazioni di famiglia, ora potrà finalmente dedicarsi alla sua attività prediletta, che consiste nel vivere il trattore, sul trattore.
Mi ha confessato che la schiena a volte avrebbe da ridire, circa le sue “cattive” abitudini, ma quello d’altronde è il suo posto, nella conca luminosa del Canalicchio, che è poi la sua casa.
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Giornalista pubblicista toscano innamorato di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione enoica ad atto culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di Direttore Responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente per la Toscana della guida Slow Wine.