Una degustazione speciale che ha abbracciato tre decenni, un arco temporale da cui è transitato il cambiamento e, insieme al cambiamento, una scommessa forte e identitaria chiamata Varramista. Lui, il vino, dal 2003 è un Syrah in purezza, prima di allora è stato qualcosa d’altro, dal momento in cui contemplava pure la voce del sangiovese. Ma è soprattutto il premier vin della omonima Fattoria di Montopoli Val d’Arno, lì dove Giovanni Alberto Agnelli, negli anni Novanta del secolo scorso, ha inseguito il sogno di un’azienda vitivinicola virtuosa che si ispirasse al modello francese, un sogno infrantosi nella illogicità di una vita che si spezza quando non dovrebbe, ma da lì in poi ripreso e perseguito con immutata convinzione dalla fondazione che porta il suo nome.
Cosa è e cosa è stata la Fattoria di Varramista l’ho scritto qui, e lo immagino a ipotetica introduzione di questa storica verticale svoltasi in azienda qualche settimana fa. Quel che è certo, nonostante l’alone da chateau, che sa tanto di haute-bourgeosie, è che Varramista (la fattoria) è fatta di uomini e donne REALI, uomini e donne reali che la fanno vivere. Fra questi citiamo Michela Bulleri alla direzione, Francesca Frediani, memoria storica, al commerciale, Luca Collecchi in cantina e Federico Staderini in qualità di consulente enologo (fin dall’inizio).
Da pochissimi ettari di vigna, su un totale di otto, distribuiti su diversi appezzamenti e disposti su lievi avvallamenti a non più di 70 metri sul livello del mare, da un clima temperato e caldo i cui equilibri sono provvidenzialmente regolati dal bosco, da suoli argillo-sabbiosi (sabbie da disfacimento di arenarie del Pleistocene), da una viticoltura super minuziosa e da vendemmie parcellari, nasce un vino su cui nessuno all’inizio avrebbe scommesso. Di più, nessuno avrebbe riposto fiducia sulle potenzialità del terroir a poter partorire qualcosa di significativo. Ma i fatti – i vini – ci raccontano un’altra storia. E se ancora oggi chiedi a Federico Staderini quale sia stato il segreto per bypassare l’apparente ostacolo costituito da suoli poco vocati per il syrah, o fors’anche per la viticoltura ( “grandi suoli da meloni, grandi suoli da girasoli“), lui ti risponde “umiltà“, e migliore risposta non c’é.
Perciò, dopo tutti questi bicchieri, io oggi parto dalle conclusioni, e le conclusioni suggeriscono che nonostante i mutamenti di composizione varietale intervenuti nel corso della sua storia (dal 1994 al 2001 si trattò di un blend di sangiovese e syrah, dal 20o3 in avanti un syrah en pureté), nonostante le variabili esterne non sempre governabili per come si vorrebbe (dal clima che cambia alle bizzarrie di un andamento stagionale), emerge fin da subito l’anima del vino, che mi piace immaginare coincida con l’anima del luogo: densità bilanciate, nessuna evidenza alcolica, sobrietà, non detto più che asserzioni, freschezza gustativa invece che sciabordio di materia, in un vino per il quale difficilmente ti vien da parlare di metodo, affinamenti, vasi vinari e compagnie cantanti, casomai di espressività e di sostanza.
La misura e l’integrità dettano i toni e ne illuminano l’espressione. E’ vero, qua e là si notano accenti differenti riconducibili ai singoli andamenti stagionali o alle caratterische di una determinata vendemmia, ci mancherebbe altro, ma queste due doti sono quelle che emergono e si esaltano, ieri come oggi. Sì, anche nelle ultime stagioni (nelle quali peraltro il Varramista sciorina una invidiabile capacità di dettaglio e una irreprensibile qualità nell’estrazione tannica), tanto da controbilanciare il calore, portato sempre più in emersione dai mutamenti climatici, e un tono acido non così in evidenza come un tempo, lì dove le trame si fanno più ampie, accompagnate da un corredo fruttato rosso del bosco, ma non per questo meno accurate, eleganti e melodiose, a scolpire la fisionomia di un Syrah trasfigurato nel verso del garbo espositivo, in piena coerenza con un passato che già gli ha consentito di toccare vertici gloriosi, e occhieggiando un futuro decisamente all’altezza, annunciato da una grazia nuova.
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Brillante e profondo, con il tono del sottobosco che si alimenta di freschezza grazie alle inserzioni agrumate e mentolate, si offre con una gentile setosità al palato: è sinuoso, garbato, elegantemente austero. L’evoluzione appare ben digerita, solo aria e ossigenazione indirizzano il quadro su cadenze più terrose e meno cangianti rispetto alla prim’ora.
VARRAMISTA 1996
Due bottiglie dagli esiti diversi e assai contrastanti tra loro. Quella “cattiva” evidenzia una evoluzione avanzata e un tratto selvatico-vegetale, per un vino arruffato e corposo, dal tannino asciugante. Tutt’altra cosa la bottiglia “buona”, suadente e aggraziata, di melodiosa dolcezza e ben accordata in ogni passaggio gustativo.
VARRAMISTA 1998
Stoffa elegante e bel sottotraccia minerale. Tatto setoso, compostezza nei toni, sia pur leggermente asciugato fa uscire l’anima del Varramista, ovvero sobrietà, misura, tannini lievi e freschezza gustativa.
Polvere da sparo, grafite, toni fumé in un naso di bella ariosità. Piena corrispondenza al palato: c’è grazia, respiro, sapidità, e un’anima che sente il contributo del sangiovese ma che sfuma mirabilmente su tannini carezzevoli. Bevibilità conclamata.
VARRAMISTA 2001
Coriaceo, denso, robusto, a un tratto austero dai risvolti terrosi associa una saldezza non banale, una scioltezza nsci nsci e il conforto delle erbe aromatiche, fra le quali tanto alloro. Il vino dove più chiara appare la dominante sangiovese nel blend, proprio come tipica espressione della parabola evolutiva.
VARRAMISTA 2002
Introspettivo, non difetta di freschezza ma l’eloquio appare poco sciolto, anche se la tattilità è gentile, il tannino soffuso. Le leggere asciugature sono figlie dell’età, mentre l’aria tende a sfrangiarne scansione e dettagli, esplicitandone l’anima disadorna.
VARRAMISTA 2003 ( da qui in avanti solo syrah)
Intenso, carnoso, dai richiami di pirite e pepe in grani, si dispone più in orizzontale che in verticale, ma senza spanciarsi. A trazione anteriore, se vogliamo, ma mai sgarbato. Interessante la chiosa fra il tostato e il salino.
VARRAMISTA 2004
L’unico caso in cui l’élevage in rovere ha lasciato strascichi percepibili. Per il resto un tipo silente, introspettivo, dai profumi stentorei e dal tratto carnoso che sente, e un po’ subisce, il tempo che passa. Non mi meraviglierebbe si fosse trattato di una bottiglia imperfetta.
Ieri come oggi, a mio vedere, l’archetipo del Varramista. Una finezza in punta di piedi, la sua, e un profilo verticale, slanciato, fatto di intimità e sottigliezze. E poi ancora freschezza, proporzioni, profilatura. Gran bel vino, di speciale nobiltà.
VARRAMISTA 2012
Qui un Varramista che si apparenta finanche a un Pinot Nero, tanta la melodia e il senso del dettaglio. Sorso ampio, armonico, sapido, per un vino tenero, sfumato, ben disegnato, solo leggermente stretto nel finale da un tannino figlio legittimo di una annata siccitosa. Oggi come oggi un miracolo di equilibrio.
VARRAMISTA 2013
Qui l’annata contrastata si sente tutta nella corrente acida che spinge e supporta, e in quella fragranza buona che ancora chiama gioventù. Un sentimento balsamico-silvestre ne stimola i profumi, il frutto è cristallino, nessuna asserzione di materia, solo dinamica, e souplesse, e modulazione nei toni. Davvero elegante, davvero Varramista.
VARRAMISTA 2015
Talmente sul frutto e talmente dispiegato che quasi ti nasconde il sotteso di complessità. E’ vivo, quello sì, corredato da un bel tannino, con qualche esplicitezza aromatica di troppo e una bella ampiezza gustativa. L’acidità non è la voce più evidente, ma l’integrità e l’accordatura fra le parti depongono a favor di futuro.
VARRAMISTA 2016 (in affinamento in bottiglia; uscirà nell’autunno 2022)
Sia pur in fieri, porta le stimmate delle edizioni migliori: succosità, vivezza, contrasto, eleganza, verticalità. Realmente futuribile, si preannuncia come un conseguimento raro.
VARRAMISTA 2018 ( in affinamento, in formato magnum)
Qualche contrazione asprognola-vegetale (da questa annata parziale vinificazione coi raspi) ma bel portamento. E’ scalpitante, ancora indietro nello sviluppo, sicuramente da farsi, ma tensione e integrità abitano questo bicchiere.
VARRAMISTA 2018 ( in affinamento, bottiglia normale)
Più in beva rispetto al vino affinato in magnum, emergono reattività e giuste proporzioni, e soprattutto risvolti più puliti, eleganti e meno selvatici dell’altro. Forse rappresenta una idea di come possa evolvere il vino, e di come la vinificazione coi raspi alla fine sortisca l’effetto desiderato, ossia vada a stimolarne portamento e droiture, più che profumi, a fronte di millesimi nei quali il rischio di ottenere trame larghe e rilassate è dietro l’angolo.
VARRAMISTA 2019 (in affinamento in bottiglia)
Stranamente presenta un tratto più concessivo e leggibile del 2018, quasi si trattasse di un vino più pronto, dai toni più concilianti. Uhei, ampiezza e misura stanno di casa eh, sennò che Varramista sarebbe!
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Contributi fotografici dell’autore e di Fattoria Varramista
Giornalista pubblicista toscano innamoratosi di vino e contadinità, è convinto che i frutti della terra, con i gesti che li sottendono, siano sostanzialmente incanto. Conserva viva l’illusione che il potere della parola e del racconto possa elevare una narrazione ad azione culturale, e che solo rispettando la terra vi sia un futuro da immaginare. Colonna storica de L’AcquaBuona fin dall’inizio dell’avventura, ne ricopre da anni il ruolo di direttore responsabile. Ha collaborato con Luigi Veronelli e la sua prestigiosa rivista Ex Vinis dal 1999 al 2005; nel 2003 entra a far parte del gruppo di autori che per tredici edizioni darà vita alla Guida dei Vini de L’Espresso (2003-2015), dal 2021 rientra nell’agone guidaiolo assumendo il ruolo di referente regionale della guida Slow Wine per la Toscana.