In democrazia, e nelle diverse forme di civiltà in generale, ogni progresso è provvisorio. Non è dato una volta per tutte. Per questo motivo ogni rètore si tiene alla formula collaudata: “bisogna combattere perché ogni conquista non venga perduta“. Secondo un principio simile, ogni conclusione raggiunta nella comunità degli enofili, foss’anche la più rimasticata e banale, reclama di essere riconfermata. Come un cartellone che sbiadisce al sole.
Nuove generazioni di bevitori si affacciano sulla scena, e in tutta legittimità si fanno domande ovvie, si sorprendono per fenomeni ovvi, hanno entusiasmi e perplessità ovvie. I vecchi marinai che compiono gesti automatici prima di salpare, e durante la navigazione, e quando entrano in porto, danno per scontati principi teorici e pratici che scontati non sono. Devono tramandare quello che sanno, poco o molto che sia.
Ho esaurito le metafore introduttive, quindi veniamo al dunque.
A intervalli regolari ascolto e leggo condanne più o meno severe verso i vini rosati, chiamati vezzosamente rosé dai più attempati e rosa dai nuovi comunicatori di “tendenza”. Ascoltarlo è più comune: ci sono gli zii di Ascoli a pranzo e se gli offri un rosato storcono la bocca. “Per me non sono veri vini”, arriva a dire zio Peppino, che la sa lunga su tutto. Questo fenomeno antropologico lo abbiamo registrato da tempo immemore, non richiede un’arringa difensiva e una riconferma se non quando ci si sente offesi nel proprio onore di esperti di vino.
Leggerlo è più sorprendente, dato che in linea di principio chi scrive dovrebbe avere uno straccio di nozioni di base (seee, te piacerebbe). Eppure giovani leoni della tastiera insunuano, qua e là, dei sospetti che il rosato sia “un vino di risulta”, “un ripiego”, insomma un “mezzo vino”.
E perciò riconfermiamo oggi, coram populo e toto corde, che i rosati sono a tutti gli effetti dei vini. Il nuovissimo Alkes di Andrea Occhipinti, prodotto a Gradoli, nel Lazio, sulle pendici del maraviglioso lago di Bolsena, è un rosato esemplare. Succosissimo, scintillante, dal bel gioco sapido/acido/viscioloso, tende a trattenersi pochi secondi al palato, e pochissimi nella bottiglia. E questo nonostante la scarsa attrattiva del nome, che sembra quello di un farmaco contro il reflusso gastrico, e l’oggettiva inguardabilità dell’etichetta.
I rosati, ribadisco, sono vini: sono vini veri. Mi dispiace per zio Peppino.
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La foto ritraente Andrea Occhipinti è stata estratta dal profilo FB aziendale.
Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen.
Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.