Le degustazioni vanno fatte al buio. Ma, forse, non basta…

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Una ricerca scientifica ha dimostrato che  la visione di un cibo o di un vino condiziona in modo decisivo la risposta che viene data, solo successivamente, dall’odorato e dal gusto. In altre parole, per poter apprezzare le reali qualità organolettiche di un prodotto bisognerebbe non guardarlo.

Ricercatori della Società America di Chimica hanno dimostrato che l’uomo VEDE gli aromi del cibo e del vino. I suoi occhi hanno un tale potere da modificare totalmente le risposte fornire da gusto e odorato. (Fonte © Africa Studio / Fotolia)
Ricercatori della Società America di Chimica hanno dimostrato che l’uomo VEDE gli aromi del cibo e del vino. I suoi occhi hanno un tale potere da modificare totalmente le risposte fornite dal gusto e dall’odorato. (Fonte: © Africa Studio / Fotolia)

Prima di entrare a fondo nella questione, pensiamo ai drammatici risvolti di questa scoperta nel mondo del cibo e del vino “parlato”. Innanzitutto, non avrebbe più senso la prima parte di una degustazione vinosa. Mentre si giudicherebbe con profonda serietà il colore impenetrabile di una barbera o il rosso scarico di un pinot nero o la cristallina lucentezza di un  riesling, il cervello degli esperti starebbe già decidendo inconsciamente le emozioni derivanti dal profumo a dal gusto. La valutazione ne è ormai irrimediabilmente falsata. Il nostro cervello, purtroppo (o per fortuna) è fatto così.

Gli stimoli prodotti  dall’immagine che il nervo ottico trasferisce al cervello vanno a influenzare pesantemente la risposta che daranno il gusto e il profumo una volta che saranno stati attivati direttamente. In parole estremamente povere, l’uomo VEDE  il profumo e  il sapore  prima di poterli sentire e gustare. Non c’è poi da stupirsi tanto: le reazioni del cervello agli stimoli esterni sono una serie di reazioni biochimiche che coinvolgono sempre e comunque i cinque sensi. Ne basta uno per alterare definitivamente anche gli altri.

Tuttavia, i problemi non sono solo questi. Durante la valutazione arrivano al cervello altri stimoli ben diversi, come i ricordi, la somiglianza, esperienze precedenti, ecc. Essere troppo bravi nel ricordare sfumature già provate, anche se, magari, non reali, inficia la valutazione finale sia in verso positivo che negativo.

Fino a pochi anni fa il gusto era considerato un tavolo a due gambe (il sapore e l’odorato). Oggi sappiamo che ne ha quattro, tutti fondamentali. Ai due di prima si deve aggiungere anche la vista e il tatto. Fortunatamente l’ultimo non influisce molto sulla valutazione di un vino, anche se la materia liquida tocca le mucose e quindi manda un suo segnale. Per il cibo le cose sono ancora più chiare e nette. Un pezzo di carne o uno spaghetto esercitano un peso non indifferente sulla lingua e sul palato. Su questo tavolo, non più barcollante, arrivano altre informazioni ed emozioni apparentemente slegate che si mescolano e si combinano portando al risultato finale, ossia alla valutazione. In poche parole, l’oggettività e la separazione delle varie parti di una degustazione è solo e soltanto un’assurda finzione ben lontana dalla realtà dei fatti.

Attenzione. Non sto dicendo che la vista possa SOLO  influenzare l’olfatto o il gusto. Ossia, non dico che un bel colore renda più disponibili i giurati a favorire un vino (o un piatto) rispetto a un altro. No, sto proprio dicendo che gli occhi hanno un potere assoluto nel comandare le risposte effettive dell’odorato e del gusto. E’ come se la visione fosse una “briscola” sempre vincente sugli altri semi.

Un esempio per tutti: il sauvignon forma il proprio gusto attraverso reazioni chimiche  che possono portare all’aroma di banana, di frutto della passione, di peperone, ecc. Se lo stesso vino fosse colorato di rosso (senza alterarne il sapore reale), in modo simile a un merlot o a un cabernet, la vista di questo colore stimolerebbe la ricerca degli aromi tipici dei vini rossi e il risultato sarebbe completamente falsato. Nessuno direbbe mai che quel vino rosso è un sauvignon “colorato”. Provare per credere.

La ricerca, però, è andata oltre. Sebbene odorato e gusto siano succubi della vista, l’odorato ha una valenza superiore a quella del gusto. Esperimenti eseguiti su un gruppo numeroso di persone (a occhi chiusi) ha portato a risultati sconvolgenti. Sono stati fatti soltanto odorare caramelle, fragole e altri cibi dolci e poi è stato fatto assaggiare un sorso d’acqua. La risposta è stata univoca: liquido dolce. Poi, si è invece proceduto a far odorare carne, pane, pesce e altri cibi non dolci, per finire nuovamente con un sorso d’acqua. Questa volta è risultata per tutti un liquido insipido e/o salato. Il gusto dato all’acqua dipendeva soltanto dal ricordo ravvicinato del profumo che ha alterato le reazioni effettive del gusto. Insomma, un bel caos che dovrebbe mettere a disagio ogni degustatore o assaggiatore serio e preparato.

Che fare? Chiudere gli occhi e guardare il vino o il cibo solo alla fine. E le altre esperienze che si mescolano nel calcolatore cerebrale? Un bel pasticcio. Non bastano le guide a senso unico e lo “spread” delle singole degustazioni,, adesso ci si mettono anche i cinque sensi. E meno male che ancora non è entrato in gioco l’udito. Chissà che il rumore di un liquido versato o dei denti che masticano non possa ulteriormente comandare o alterare il giudizio finale…

Sicuramente, i prodotti alimentari del futuro cercheranno di dare un sempre maggiore risalto all’apparenza piuttosto che alla sostanza e alla qualità. Cosa che, forse, si sta già facendo consciamente o inconsciamente. Ovviamente, anche le condizioni al contorno influiscono sul lavoro cerebrale. Locali esteticamente attraenti, premi ottenuti, prezzi esosi, possibilità di assaggiare senza pagare, concorrono anch’essi al grande gioco della mente e tendono a favorire sempre di più chi parte già favorito. Insomma, la vera colpa di certi giudizi poco affidabili o apparentemente indirizzati verso conclusioni univoche è solo e soltanto del metodo selettivo con cui agisce il nostro cervello, non certo di pressioni esterne.

Cari esperti e giornalisti vari, da un lato è salva la vostra onestà valutativa, ma dall’altra è meglio che corriate ai ripari e impariate meglio la biochimica del cervello.

Per dare una visione più “scientifica” del lavoro presentato presso la Società Americana di Chimica (non è una delle mie solite invenzioni…), vi allego l’abstract originale.

Abstract

The chemistry of food includes substances that activate chemosensory, somatosensory, and visual receptors located at the periphery of the nervous system, e.g. in odor, taste, touch, and light sensitive cells. These cells originate signals that travel to different parts of the brain creating recognizably different sensations. Furthermore, these sensations combine to create judgments of a foods identity, valance (pleasantness), and hedonics (liking) shaping a consumer’s expectations and attitudes toward the food (Deliza and MacFie 1996; Garber et al. 2001). Flavor is the total of these experiences. Although the rules that governs how the sensory modes are summed to express flavor remains a mystery, there are indications that the rules are complex and profound. For example, several sensory studies have shown that the odor descriptors used for white wines are replaced by those used to describe red wines when subjects taste white wine colored red. This paper will review our present knowledge of cross-modal interactions between odor and vision and describe results from studies of the effects of odor-vision congruency on the detection of pure odorants.

American Chemical Society (ACS) (2013, April). ‘Seeing’ the flavor of foods before tasting them.

Vincenzo Zappalà

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