Etna, nuova divinità italica

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Quando un distretto vinicolo smette di essere solo un distretto vinicolo e ascende al Pantheon degli enofili si verifica quello che chiamo l’effetto “bravo/grazie” di Petrolini. Per i pochi incoscienti autolesionisti che ancora ignorassero la sua meravigliosa parodia di Nerone, nella celebre macchietta lo storico comico romano arringa la folla sottostante:

“Ignobile plebaglia, così rincompensate (sic) i sacrifizi fatti per voi?
Ritiratevi, dimostratevi uomini, e domani Roma rinascerà più bella e più superba che pria”

– “bravo”

– “grazie”

(a lato) “È piaciuta questa parola, pria…il popolo, quando sente le parole difficili, si affeziona. Ora glielo ridico: più bella e più superba che pria

Segue un serrato botta e risposta fatto di bravo e grazie, sempre più contratto. Alla fine a Petrolini/Nerone basta fare solo un cenno con le mani, e il grazie arriva subito. “Lo vedi? Il popolo, quando si abitua a dì che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo.”

Ciò è perfettamente vero per le regioni a statuto enoico speciale. Per la Borgogna, in primis, oggi circondata da un’aura divina che la sottrae a qualsiasi nuvoletta critica sia pure innocua e passeggera.
I vini borgognoni sono tutti buoni e sono sempre buoni. E basta. È sufficiente nominarla, la Borgogna, e si è promossi su un altro piano.
Si entra di diritto ovunque. Fosse anche a teatro, o a un concerto importante, o a un’udienza papale:

-“il biglietto, prego”

– “sono Pinco Pallo, bevo solo Borgogna”

– “entri pure”

Questo vale anche, in terra italica, per il vasto comprensorio del vulcano Etna. Che ha trionfalmente affiancato, nella considerazione dei bevitori più scafati, divinità antiche quali le Langhe. “Io ormai bevo solo Borgogna, Nebbiolo e rossi dell’Etna” è l’insegna di molti principi e duchi della degustazione.

In un contesto simile ho vita facile proponendo all’attenzione dei bevitori esigenti un nuovo bianco etneo. La diffidenza iniziale è subito superata, posso giovarmi della sospensione dell’incredulità che è privilegio di autori ben più attrezzati di me.

Ci troviamo dunque nelle campagne di Castiglione di Sicilia, nella parte nord-orientale del territorio etneo, in Contrada Santa Domenica. L’altitudine sul livello del mare è 550 metri, l’impianto della vigna molto giovane (2011). Qui Giuseppe Platania produce, da sole quattro vendemmie, un bianco a base di carricante e catarratto di notevole spinta aromatica. È l’Etna Bianco Bizantino (annata 2018), che prende il nome dai resti archeologici di una cuba bizantina (sorta di cappella).

Fatevi da soli la vostra scheda di assaggio, scegliendo un paio di termini qualsiasi per indicare le note fruttate di agrumi, un paio di termini qualsiasi per le note marine e salate, un termine qualsiasi per l’acidità.
Ad esempio: “Limone, bergamotto, ostrica, alga marina, rinfrescante”; oppure: “Lime, pompelmo, vongola, iodio, scattante”

Ciò che conta è che si tratta di un bianco etneo vero, ricco di vibrazioni vitali, tutto meno che appiattito nello schemetto “frutto maturo, note floreali, centro morbido, finale dolcino per gli zuccheri residui seminascosti” che è proprio di molti bianchi di altre zone.
Se ne produce una buona quantità, fino a cinquemila bottiglie, e quindi non dovrebbe essere un’impresa epica trovarlo.

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La foto del vigneto etneo è stata tratta dal sito vinoway.com

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