Il Bordeaux ritrovato (in più: una bottiglia buonissima a un prezzo molto basso)

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Come critico di cose vinose il mio chiodo fisso – diverso dal chiodo mobile, un oggetto del tutto inutile – è cercare di risvegliare l’attenzione sui cliché, sulle deformazioni causate dalle mode più acefale, sulle scelte fatte per pura convenzione, quindi non del tutto libere e consapevoli.

Nessuno può negare che l’Italia del vino – e non soltanto – sia stata attraversata negli ultimi tre lustri da una poderosa corrente filoborgognona, soprattutto in campo rossista. Prima, all’epoca dei turboenologi che si aggiravano per le cantine con la clava, avvolti in pelli di animale, i rossi avevano da essere pieni e sodi, imbottiti di tannini masticabili, fibrosi come un frullato di cachi e bambù.
Dopo, al contrario, ogni rosso doveva invece risultare scarico nel colore, pena la scomunica. Nei casi migliori doveva stimolare il primo e più illustre dei complimenti: “sembra un Borgogna”.

È del tutto evidente che questa voga si basi su una radice molto sana. A differenza di altri passaparola scemi, lo stimolo a chiedere rossi sciolti e non massicciamente tannici ha consentito a molte tipologie nostrane, in precedenza avvilite in camuffamenti carnevaleschi da iniezioni di uve aliene, da salassi monstre o da osmosi inversa selvaggia, di mostrare i loro più autentici lineamenti. Basti pensare al Chianti Classico o al Brunello di Montalcino, per fare due nomi didascalici.

In questa fase reattiva, che per quanto sana in radice ha contenuto e contiene elementi di ottusità talebanica (non ce li facciamo mai mancare), ho continuato a scrivere con regolarità lunghe lenzuolate di schede e di commenti critici sui rossi di Bordeaux. Spesso insieme a Ernesto Gentili, con il quale andavamo ogni anno – a partire dalla metà del decennio Novanta – nel bordolese, compiendo rituali visite agli Château e partecipando alle numerose degustazioni en primeur. Prima che il meccanismo dei Primeurs venisse smontato e buttato nella discarica.

Sono davvero felice di constatare che ora qualcosa nell’aria stia cambiando. I Bordeaux iniziano a non essere visti con sospetto. A non essere considerati “noiosi” e “tutti uguali”. Si coglie anzi nell’enofilo medio un clima di trepida attesa, di tensione quasi febbrile, che sembra poter sfociare – addirittura – nell’acquisto di una bottiglia del Médoc o della Rive Droite.

Oggi sono qui per questo, per segnalare uno dei cosiddetti rapporti qualità/prezzo più favorevoli della Storia umana. La qualità dei vini di Château Cantemerle è un segreto ben custodito dagli appassionati filobordolesi. Non è un nome famoso, non è in un’appellation famosa, non è quasi mai citato tra i cru migliori. E in effetti ha subìto varii alti e bassi nel suo standard produttivo.

Eppure ha saputo spesso farsi apprezzare per la finezza dei suoi lineamenti aromatici e soprattutto gustativi. Dopo alcune decadi un po’ anodine, a parte le bottiglie brillanti dell’83 e dell’89, da almeno una quindicina di vendemmie Cantemerle offre rossi ben estratti, ben disegnati, mai pacchiani o dimostrativi. Il 2018, che ho bevuto in questi giorni, è poi davvero magnifico per limpidezza di frutto, delicatezza del tocco tannico, ritmo gustativo. Non cede molto terreno paragonato agli esiti di Châteaux ben più famosi. Con la differenza che costa intorno ai trenta euro.

E poi può mettere d’accordo tutti, filoborgognoni e filobordolesi. Basti leggere cosa scriveva Robert Parker del Cantemerle 1985: “Cantemerle nella sua espressione più elegante. Molto morbido, di un colore rubino medio, con un bouquet molto aperto di lampone, evoca più un Volnay che un Médoc”.

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Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

5 COMMENTS

  1. Con tutto il rispetto, egregio signor Rizzari, non sono riuscito a trovar riscontro nelle sue indicazioni di prezzo. E si che il suo articolo aveva mosso in me una curiosità tale da vincere tutte le mie ritrosie avverso le produzioni transalpine… Non si sarà confuso con la decina di unità superiore? In questo caso tutto filerebbe liscio!

  2. Mi piacerebbe sapere dove trovare ch. Cantemerle 2018 a 20 euro o addirittura a meno. Grazie

  3. Rispondo alle osservazioni sul prezzo: l’articolo è stato scritto circa un mese e mezzo fa, dopo aver acquistato online (insieme a due altri amici) 18 bottiglie di Cantemerle 2018 per la bella cifra di 13, 84 euro cadauna, spedizione compresa.
    Si trattava di un’offerta speciale, certo, ma nei giorni successivi diversi siti offrivano lo stesso cru per circa 22/23 euro a bottiglia. Ora in effetti, a una ricerca sommaria, il prezzo si aggira sui 30 euro.
    Faccio comunque notare che, dato il livello della bottiglia, la definizione di “prezzo molto basso” è perfettamente fondata, considerando che Châteaux di qualità paragonabile dell’annata 2018 costano da 3 a 10 volte (e oltre) di più.

  4. Su Millesima.it si trova il vino oggetto dell’articolo
    https://www.millesima.it/search?searchTerm=cantemerle&filter=millesime:18|conditionnement:C
    il prezzo medio per la cassa da 12 bot. da 75cl e’ di circa 30eu.

    Considerate che 5eme classe’, qui un Bordeaux classificato gia’ nel 1855.
    Io ne presi una bottiglia a Bordeaux alcuni anni fa dell’annata 2010,
    la pagai circa 40eu, ma lo feci per passare un po’ di tempo a girare
    nella bellissima enoteca l”intendant” (https://www.intendant.com/)

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