Il vino perpetuo e la tradizione dello schiticchio

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L’idea della ripetizione perpetua è affascinante e allo stesso tempo vagamente inquietante. In musica i canoni perpetui della musica antica – un terreno compositivo non più coltivato da tempo, di sicuro da ben prima che iniziasse la sua attività artistica Gigi d’Alessio – hanno raggiunto vette altissime; definitive e irraggiungibili nel caso dell’Offerta Musicale bachiana.

Nella vita di tutti i giorni può essere a buon diritto definito perpetuo l’accanimento dell’Agenzia delle Entrate nel tampinare il 97% dei contribuenti (il restante 3%, costituito dai grandi evasori dai numeri a sei o sette zeri, resta invece allegramente fuori).
E nel vino? Nel vino si definisce “vino perpetuo” il prodotto che viene fatto rifermentare a intervalli regolari, in primis da una vendemmia all’altra. Una sorta di vino perpetuo è ovviamente qualsiasi bianco o rosso venga realizzato con il metodo solera, che consiste grosso modo nel riempire vasi vinari di vario genere – di solito botti di legno – di nuovo vino annata dopo annata.
In Italia i vini perpetui sono piuttosto rari. La brava e determinata vignaiola Marilena Barbera, che ciavàgghia in quel di Menfi (Agrigento, Sicilia, a poca distanza dalle sublimi rovine di Selinunte), me ne ha fatto provare uno davvero unico. L’ha battezzato Altrimenti. Basato su una partita di inzolia del 2012, ha proposto dopo la stappatura:

– colore giallo dorato dai riflessi ambrati, caldi e allo stesso tempo luminosi
– profumi affilati, nitidissimi, di alga marina e limone
– sapore di sale, salamoia, salgemma, sale Maldon, fleur de sel, sale grigio di Bretagna, con note secondarie ma gustosissime di polpa di limone e mallo di noce, nonché di speziatura boisé ( quest’ultima davvero sullo sfondo).

Potrei accostarlo a certi Jerez, se conoscessi bene gli Jerez. O a certi Marsala, o a certi vini ossidativi dello Jura. Ma a pensarci bene no, l’Altrimenti non si paragona a nulla, se non a se stesso. Colpito da questo curioso e magnifico unicum, ho scambiato due parole con Marilena sui diversi aspetti produttivi.

Come lo fai questo sorprendente Altrimenti?

È una base di Inzolia messa in botte nel 2012. Ogni anno scolmata (il vino ce lo beviamo in casa) e ricolmata per almeno il 20% con il vino della vendemmia successiva, di solito fra novembre e dicembre, dopo il primo travaso. L’uva è quella della vigna Dietro le Case, che ormai ha quasi 50 anni, un vigneto equilibrato, di cloni originari del territorio, presenti in azienda fin dagli anni Venti. È più un perpetuo che un Solera, perché la botte non si svuota mai, e dentro c’è solo vino bianco secco senza mistella né residuo zuccherino.

Poca quantità, temo…

Sì. La botte – piccola purtroppo, ma per fortuna abbastanza vecchia e quindi molto poco marcante – non viene mai svuotata, non si fanno travasi né batonnage, il sedimento fine è tutto al fondo, vendemmia dopo vendemmia. Quest’anno che nella botte ci sono 7 vendemmie ho deciso di imbottigliarne una piccola parte, 50 litri circa, per “fotografare” il vino in un momento che mi è parso di bellezza.

Da quanto capisco non è solo un tuo esperimento, ma un prodotto del luogo

Certo, infatti lo chiamiamo “vino di casa”, ed è una cosa molto tradizionale della zona di Menfi, dove questo vino è sempre stato fatto così, con l’inzolia e un po’ di grecanico. Un vino da bersi alle feste, agli schiticchi e ai matrimoni.

Uhmm… schiticchi… di che si tratta?

Schiticchio (o schiticchiata) è una scampagnata con gli amici dove si comincia a mangiare verso le 11 e si finisce verso mezzanotte. Oppure cinque minuti prima del decesso. 🙂 Di solito si svolge per le feste comandate: 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, pasquetta, battesimi, cresime, eccetera.

Il menu dello schiticchio di solito comprende, secondo la stagione: due agnelli castrati arrostiti sulla brace; trenta/quaranta chili di salsiccia di maiale; teglie di pasta al forno ; mezzo rimorchio di carciofi arrostiti; le patate e le cipolle alla fine della brace perché è un peccato che si spenga senza metterci niente nel frattempo. Poi la cassata, i cannoli di ricotta e l’anguria bella fresca. E alla fine, dopo cena, un paio di conigli per togliersi il sapore.

Verità, non esagerazione.

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